Einaudi suona nel silenzio della pandemia. "Sono quasi canzoni, scritte di getto"

Il pianista spiega i nuovi 12 brani: "Sonorità diverse rispetto al passato"

Einaudi suona nel silenzio della pandemia. "Sono quasi canzoni, scritte di getto"

Sommersi, lontani dal mondo, in una realtà fatta di suoni attutiti. Lassù, in superficie, ci sono i giorni come sono sempre stati. Chissà se mai riemergeremo: ciò che conta è saper gestire l'apnea. Esattamente in questa strana apnea dettata dalla pandemia («un momento inizialmente apprezzato per il suo silenzio irreale, a pochi giorni dalla fine degli stressanti tour in Australia e Asia»), Ludovico Einaudi ha costruito una sorta di anno sabbatico, in cui raccogliere ispirazioni e «scrivere tanta musica, senza mai fermarmi, buttando giù appunti sonori».

Non sono poi così difficili le metafore che si posano sulla tastiera del pianista piemontese in occasione del suo nuovo album intitolato Underwater, ma l'aspetto importante, alla fine, è sempre la musica. E quella non delude mai il suo popolo, una folla variegata che, a conti fatti, stupisce con i suoi 4 miliardi di stream, 10 milioni di visualizzazione su You Tube e 150mila sul più giovane Tik Tok. E se gli si fa notare che lui e i Måneskin sono le star musicali italiane più celebri nel mondo, ma non producono stilemi tipicamente italici, il Maestro ha una risposta pacata ma inequivocabile: «Ho ascoltato poco i Måneskin, mi sembra che la loro popolarità sia dovuta a una grande spettacolarità scenica, alla scelta di cover ben rilette di brani celebri e al recupero di una musica rock canonica che si era perduta. Il mio tentativo, di contro, è quello di proporre musica capace di rinnovarsi continuamente». L'artista dal cognome che viene da lontano (si può discendere dal migliore dei presidenti della Repubblica e al contempo essere «il musicista più ascoltato di sempre nello streaming»? Evidentemente sì) esce domani con dodici brani in pianoforte-solo da lui definiti «forme brevi, quasi canzoni, scritte di getto». Dunque non composizioni come si potrebbero definire quelle di un autore di world music che ha firmato colonne sonore di film premiati anche con Oscar, Bafta e Golden Globe (come i recenti Nomadland e The Father), bensì qualcosa di più simile alle canzoni popolari, dal taglio per così dire radiofonico. «A volte - spiega - nella composizione metti così tanti livelli di pensiero che la pura ispirazione rischia di affievolirsi nel processo. Scrivere una canzone, invece, è come respirare».

Respirare sott'acqua, per l'appunto: per noi umani un ossimoro, per un artista un sogno possibile. A un anno dall'album Cinema, Einaudi racconta di aver «cercato una sonorità del tutto diversa rispetto ai recenti lavori. Con il mio accordatore di fiducia abbiamo costruito un suono felpato, come se il piano fosse suonato direttamente con le dita sulle corde, abolendo il martelletto. Cercavo una sensazione tattile nel suono».

Una scelta che, in qualche modo, evoca la personalità stessa di Einaudi: «Mi sento di una natura astratta, pensavo che questa mia attitudine distaccata, aliena dalla frenesia di questo mondo mi fosse di intralcio. E invece, a quanto pare, ho trovato il mio posto nel mondo».

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