Era l'8 dicembre 1974. Lui aveva solo sette anni. Era in platea, al Sistina di Roma. E sgranava gli occhi. «Da allora, lungo le cinque edizioni italiane e le numerose straniere, quella meraviglia l'avrò vista altre 500 volte». Se infatti per il pubblico Aggiungi un posto a tavola è un capolavoro del musical dal titolo addirittura proverbiale, per Gianluca Guidi, figlio del primo storico interprete Johnny Dorelli, è anche un patrimonio di famiglia. «Fa letteralmente parte di me. Sono cresciuto canticchiandone le canzoni, ripetendone le parti. Ed è un patrimonio su cui ora esercito un'usucapione». Già: perché nella tonaca del canterino don Silvestro, che un Dio deciso ad affogare la terra con un secondo diluvio universale contatta telefonicamente, al teatro Brancaccio di Roma fino al 26 novembre, c'è appunto Guidi. «Questo musical è un caso più unico che raro. E' il più replicato in Italia, forse il più amato. E dopo 43 anni di vita i suoi temi, come l'accoglienza dello straniero e il celibato dei preti, continuano a far riflettere. Abbiamo ripreso con fedeltà assoluta l'edizione originale firmata Garinei e Giovannini: dalle canzoni di Armando Trovajoli, che andrebbero studiate al conservatorio, alle incantevoli coreografie di Gino Landi; fino alle scenografie rotanti di Giulio Coltellacci, geniali e, almeno in Italia, insuperate». Solo la perorazione finale con cui don Silvestro convince il Signore a risparmiare l'umanità è stata mutata «per approfondirne il significato». Il momento più arduo? «La romanza Clementina. Richiede grandi polmoni e arriva alle 22,45».
Certo: per un mito teatrale di cui i fan conoscono a memoria tutte le battute, il rischio del confronto con l'originale è enorme: «Soprattutto per me, che sono praticamente un clone di mio padre ammette Guidi - A papà dovrebbero dare il Nobel: facendo me è stato un antesignano della pecora Dolly». Quanto a possibili consigli paterni, «mio padre non è tipo da darne.
Ma ha visto lo spettacolo, e gli è piaciuto moltissimo». Però, conclude Guidi, «con questa edizione ho chiuso. Per raggiunti limiti d'età. E poi è ora che qualcuno pensi di metterla in scena in una forma diversa, reinventata; magari più tecnologica».
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