I fili del puparo Elio Vittorini per lanciare l'amico Calvino

"Il sentiero dei nidi di ragno" non convinceva l'Einaudi Serviva un premio. Così 70 anni fa nacque il "Riccione"

I fili del puparo Elio Vittorini per lanciare l'amico Calvino

Trent'anni prima rotolava per i boschi di Marradi, facendo l'amore con Dino Campana, l'ennesima conquista. Ora, il 14 agosto del 1947, Sibilla Aleramo festeggia il «settantunesimo mio compleanno» sulla riviera romagnola, a Riccione, «andrò qualche momento sulla spiaggia, prima che s'infuochi e brulichi. Sola». Sibilla, first lady della letteratura italiana, riceve un telegramma da Mondadori - «con un auspicio di ancora molte nuove fortune letterarie» - e festeggia con «vino biondo e panettone» assieme a Cesare Zavattini. Che ci fanno Sibilla e Zavattini - che stava lavorando alla sceneggiatura di Ladri di biciclette di De Sica - a Riccione? No, non è una fuga d'amore: Sibilla ha messo in cantina - non ha l'età - le passionacce d'amore. È diventata una pasionaria, fervente adepta del Partito comunista italiano. Proprio quel giorno, il giorno del suo compleanno, Sibilla, presidentessa di Giuria del Premio Nazionale Riccione destinato «ad un'opera letteraria di contenuto sociale» decide chi vincerà le 200mila lire messe in palio. Il Premio, illuminata da una discussione con Zavattini, andrà a «un giornalista comunista che non conosco». Italo Calvino.

Tutti sanno che settant'anni fa Calvino esordisce alla letteratura con Il sentiero dei nidi di ragno, pubblicato da Einaudi. Pochi ricordano, però, che il passaggio necessario alla pubblicazione illustre fu la vittoria di un Premio. Il Premio Riccione, appunto. Che nasceva quell'anno, ispirato da un sindaco sagace, Gianni Quondamatteo (comunista), che voleva fare della cittadina il centro dell'intelligenza nazionale, una Versilia ruspante, insomma. Memore - pur nei recessi dell'inconscio - dei fasti mussoliniani: quando il Duce faceva il bagno nel mare riccionese e il figlio Vittorio Mussolini, nel 1939, invitò a Riccione i divi del cinema di allora. I riccionesi fanno le cose per bene: la giuria del Premio è sontuosa. Sibilla presidente, i suoi boys sono scrittori di altissimo profilo, Zavattini, Romano Bilenchi, Guido Piovene, Corrado Alvaro, Mario Luzi. Eugenio Montale, contattato, rifiutò, per lui, stressato dall'esistente, «si tratta di un lavoro gravoso». Il peso massimo della giuria, tuttavia, è Elio Vittorini, che ha già pubblicato Uomini e no, lavora per Bompiani e si appresta a diventare il guru dell'editoria del dopoguerra.

Vittorini ottenne di stare a Milano, lavorando a distanza. Di fatto, fu un po' il puparo del Premio Riccione. Diede indicazioni in merito ai giurati da scegliere («fra i compagni andrebbe benissimo Michele Rogo oppure Romano Bilenchi. Ma se fossero necessari nomi di non compagni e tuttavia progressisti suggerisco Carlo Bo o Mario Luzi»); consigliò a Calvino di partecipare al Premio. Einaudi, in effetti, non era convinto a pubblicare Il sentiero dei nidi di ragno («Caro Calvino, ho dato a Einaudi parere favorevole per il tuo libro. Però non sono del tutto d'accordo»), la vittoria a un premio letterario avrebbe sciolto gli indugi. In realtà, Calvino aveva terminato in fretta e furia il romanzo per partecipare al Premio Mondadori. Ma viene scartato. Non gli resta che ripiegare per il meno illustre Premio Riccione. E gli va male anche lì. Male a metà.

Calvino non citerà mai il Premio Riccione. Il telegramma che gli viene inviato a Sanremo per comunicargli la vittoria lo piglia la madre. Lui è «a Praga come inviato del quotidiano comunista l'Unità per il festival Mondiale della Gioventù» (Andrea Dini, che nel 2007 ha compilato, per Il Ponte Vecchio, Il Premio Nazionale Riccione 1947 e Italo Calvino, che fa sfoggio di documenti straordinari). A Riccione non mette neppure il piedino, per ritirare il Premio. Eppure, gli archivi riccionesi sono pieni di lettere in cui Calvino, un poco scocciato, pretende la somma in palio, «avrei proprio bisogno che mi mandaste subito questo premio» (4 settembre 1947). Il fatto è che Il sentiero dei nidi di ragno, che ci fanno sorbire fin dalle scuole medie, non piacque a nessuno. Fu premiato semplicemente perché era il meno peggio. Al primo giro di lettura, infatti, Aleramo, Luzi, Piovene e Zavattini, presi da sconforto estetico, pensano di mandare tutto all'aria: «esaminati i ventotto manoscritti (...) la giuria non ha potuto riscontrare in nessuno di essi qualità artistiche tali da suscitare il suo deciso consenso». Poi, per buona educazione intellettuale - non si poteva far saltare un Premio alla prima edizione - ci ripensano. Bilenchi dice un netto no a Calvino. Zavattini è possibilista. Per Luzi il romanzo «approfitta della tecnica oggi diffusa da Vittorini a Pratolini. Non manca qualcosa di buono. Ma il racconto risulta un po' immobile». La Aleramo riconosce che «non è neppur esso un capolavoro» ma è «quanto di meno peggio è stato mandato al concorso». Vittorini, ovviamente, punta sul suo puledro di razza, una sorta di epigono e di scolaretto.

Il romanzo vince il Premio. Ma, onta delle onte, ex aequo. Calvino deve dividere il premio con Fabrizio Onofri, all'epoca responsabile della Sezione propaganda del Pci, che sacrificò le velleità da scrittore per la carriera politica, tanto che del suo romanzo vincitore, Morte in piazza, si sono perse le tracce. Calvino ne esce cornuto e mazziato: «Non solo per il pari merito, Riccione stessa è una vittoria dimezzata: dalle segnalazioni a pioggia del verbale, indice di mediocrità dei prodotti, il libro si stacca a fatica» (Dini).

La mezza vittoria di Calvino, ornata dall'assai tiepida accoglienza di cotanti giurati, ebbe un effetto immediato, drastico: quella del 1947 fu la prima e unica edizione del Premio Nazionale Riccione per il romanzo. Andò avanti, per settant'anni, fino a oggi, la frangia del Premio dedicata alla drammaturgia contemporanea, che era partita in sordina - l'edizione del 1947 fu vinta da Salvo dell'Armi, «pseudonimo per una scrittrice timidissima, venuta a Riccione ma che non si fa vedere al Premio, Midi Mannocci» (Dini), che sarà pudica autrice radiofonica per la Rai. E qui si spalanca, davvero, un'altra storia. Quella, appunto, del Premio Riccione, che compie settant'anni, come il romanzo d'esordio di Calvino, e che ha premiato protagonisti assoluti come Tullio Pinelli (mitico sceneggiatore di Fellini) e Angelo Rognoni, futurista doc, amico di Marinetti, ma anche Enrico Vaime e Franco Cuomo (storico collaboratore di Carmelo Bene), Pier Vittorio Tondelli (con Dinner Party), Ugo Chiti, Fausto Paravidino, Vitaliano Trevisan, Stefano Massini, che fu scoperto nel 2005 a Riccione da Luca Ronconi, giurato d'eccellenza.

Già, il Premio Riccione è anche una storia di giurati doc. Ne sono passati tanti, un parterre di intelligenze, tra Aldo Trionfo, Ezio Raimondi (tra i più tenaci, per 15 anni scrisse a penna schede tecniche ineccepibili), Anton Giulio Bragaglia, Diego Fabbri, Edoardo Sanguineti (pessimo, partecipò pochissimo, per tre anni, a cavallo degli Ottanta, che coincisero con l'impegno del poeta in Parlamento, nelle liste del Pci), Franco Quadri, Roberto Andò, Luca Doninelli, Alessandro Gassmann, Ottavia Piccolo, Umberto Orsini, Fabrizio Gifuni...

Negli Archivi del Premio Riccione, accomodati nei sotterranei della Biblioteca civica della località turistica, nel totale disinteresse patrio, giacciono rarità bibliografiche assolute: i due testi teatrali dimenticati di Enzo Biagi, ad esempio, Noi moriamo sotto la pioggia e Giulia viene da lontano (che vinse l'edizione del 1953), quando il giornalista tentava il successo come drammaturgo; un drammone (I mostri) inedito di Valerio Zurlini, uno scherzo mussoliniano di Arnoldo Foà, un testo obliato di Dacia Maraini (Reparto speciale antiterrorismo), che ha anche il record di partecipazioni al Premio (cinque; vittoria nel 1981 con Ugo Leonzio). E questa non è che l'unghia del mignolo di un millepiedi.

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