L'alleanza dei frustrati contro la D'Urso: uno show tragicomico

Mentre gode della stima degli editori e dei telespettatori è perseguitata dall'invidia di numerose colleghe che aspirano a soffiarle il posto e, ovviamente, lo stipendio

L'alleanza dei frustrati contro la D'Urso: uno show tragicomico

Barbara D'Urso è una straordinaria donna televisiva, ha un linguaggio colloquiale ai limiti dell'ordinario, e le riesce di semplificare tutto, perfino il proprio nome che, in realtà, non è Barbara bensì Maria Carmela. Venuta alla luce a Napoli, da madre originaria delle terre d'Aspromonte, la cui gente è stata ottimamente descritta da Corrado Alvaro, è nata per stare davanti alle telecamere, dove in effetti trascorre l'intero giorno, l'intera settimana (in pratica è sempre lì), come Matteo Renzi.
Ha appena terminato il ciclo annuale di Domenica live, che riprenderà dopo la pausa estiva, ma continua imperterrita ad andare in onda con Pomeriggio Cinque, striscia quotidiana che dura un'ora e mezzo, in cui si trattano argomenti di varia umanità, suscitando l'interesse di un vasto pubblico. Talmente vasto che i dirigenti Mediaset, più sensibili alle ragioni di cassa che a quelle sociali e culturali, giustamente hanno in animo di prolungare a vita il contratto alla regina delle conduttrici. La quale, quando non è in piena attività sotto i riflettori, cambia addirittura aspetto.

Recentemente l'ho incontrata in un vialetto di Cologno Monzese e confesso di non averla riconosciuta. Non l'ho salutata nemmeno quando mi si è parata davanti, dicendo: «Vittorio, non ti ricordi di me?». Come no. È impossibile dimenticare Barbara, dato che è fissa sul video. Il problema è che a fari accesi le persone di spettacolo si trasfigurano e a luci spente si spengono anch'esse: diventano talmente normali da non essere più identificabili quali star.

Barbara tuttavia è sempre piacente. Lo sarebbe anche in ciabatte e avvolta nell'accappatoio. È simpatica al popolo televisivo, pertanto snobbata da coloro che si autopromuovono intellettuali. Da anni i suoi programmi registrano record d'ascolti e ciò la rende insopportabile ai censori e ai recensori più raffinati, che le rimproverano di sfruttare gli sfigati (poveri cristi afflitti da disgrazie d'ogni tipo, che costituiscono un serbatoio inesauribile di protagonisti melodrammatici) al fine di incrementare l'audience. Accusa fuori luogo. Altrimenti bisognerebbe deplorare chiunque si sia occupato di storie aspre, da Sofocle a Shakespeare, e non mi pare il caso.

Tornando coi piedi a terra, occorre dire che Maria Carmela, mentre gode della stima degli editori e dei telespettatori che guardano la tv a scopo digestivo e non per aumentare i loro saperi, è perseguitata dall'invidia di numerose colleghe che aspirano a soffiarle il posto e, ovviamente, lo stipendio. Deve rassegnarsi. Il successo è una medaglia il cui rovescio è la rabbia di chi lo cerca invano.

Non bastasse tutto ciò, la D'Urso deve fare i conti anche con la corporazione dei giornalisti, tra i quali abbondano gli scontenti e frustrati che, non potendo vantare una rinomanza nazionale e neppure rionale, non le perdonano di colloquiare con gli ospiti. Costoro pretenderebbero che la gentildonna si limitasse a salutarli e, preferibilmente ricorrendo all'alfabeto muto, li invitasse a raccontarsi, evitando con cura di porre loro domande. Perché? Interrogare qualcuno in tv significa, secondo l'Ordine degli scribi, esercitare la professione giornalistica, specialità riservata agli iscritti all'albo.


Barbara era iscritta e ora non lo è più, quindi sarebbe un'abusiva del mestiere di cronista. Le è vietato fare interviste. Sono sicuro che nell'eventualità di un contenzioso, i giudici chiederebbero delle perizie psichiatriche. Per chiacchierare al microfono serve il tesserino di redattore? Grottesco.

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