Luca Beatrice
In certe valli semidisabitate, vista l'esiguità di persone sessualmente attive, pare sia uso accoppiarsi tra consanguinei. Il che può sviluppare nei neonati disturbi di natura genetica, come il gozzo ipotiroideo.
Il mondo dell'arte contemporanea in Italia evoca questo triste scenario. Pochi individui, sempre gli stessi, si scambiano ruoli e poltrone tra loro, senza far passare nessuno che non appartenga a questo strettissimo giro, e che in cambio dà pessimi risultati simili alle malformazioni fisiche di cui sopra. Fare il direttore di museo o il curatore è diventata una carriera più che un mestiere. Non contano passione, senso del rischio, né tantomeno risultati raggiunti sul campo anzi più il pubblico si mostra indifferente meglio è. Ultima trovata per rafforzare una setta granitica è quella dei bandi: fingendo trasparenza e democrazia non si fa che ribadire ciò che si potrebbe fare tranquillamente per nomina diretta, almeno il politico di turno se ne prenderebbe la responsabilità.
Nei salotti romani, molto beniformati, a tutti era chiaro che Bartolomeo Pietromarchi sarebbe stato il prossimo direttore di settore al MAXXI. Sobrio ai limiti della noia, autore di uno dei Padiglioni Italia più scialbi che si ricordi, piace più a manca che a destra e certo non avrà difficoltà a imporsi sul direttore Hou Hanru, assai poco presente, tanto da quelle parti basta piacere a chi comanda, cioè Melandri. Allo stesso modo si sapeva che Gianfranco Maraniello sarebbe stato nominato al MART, che Cristiana Collu l'avrebbe spuntata alla GNAM, che Carolyn Christov Bakargiev si sarebbe presa due musei torinesi. Tecnici preparati forse, non certo curatori visionari di cui avrebbero molto bisogno i nostri musei così asfittici. Tutti passati da bando con finale già scritto, tutti già ampiamente messi alla prova in altre istituzioni, dove hanno confermato una visione dell'arte elitaria, indifferente alla qualità dell'offerta. D'altra parte in questi sciagurati bandi si privilegia chi ha avuto esperienza di direzione in una qualsiasi sede, fosse anche tra le valli summenzionate. Ciò significa che un intellettuale fuori dal coro ma senza il curriculum impreziosito da un ruolo funzionariale non ha chance. Non possiamo dunque che attenderci la solita farsa dello scambismo applicato all'arte.
In tale scenario spicca, per contrasto, la nomina di Cecilia Alemani alla direzione del Padiglione Italia 2017. C'è chi addirittura esulta preventivamente, come preventivamente ha bocciato chi non gli era simpatico. La giovane Cecilia da tempo vive a New York col potente marito Massimiliano Gioni, eppure magari da lontano può essersi fatta un'idea fresca e nuova dell'arte italiana.
D'altra parte in America è facile che la moglie di un ex presidente diventi a sua volta presidente, ma non è detto che questa facilitazione le spiani la strada su un palcoscenico irto di sfide e bersagliato dal fuoco amico. Auguri, in ogni caso, almeno non appartiene a quel giro di soliti noti di un'unica, sempre uguale, famiglia contronatura.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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