Peter Hook ha rivoluzionato per due volte la musica pop. La prima con i Joy Division, il gruppo inglese che ha donato al punk una dimensione artistica, poi con i New Order, il gruppo che ha donato al tecno-pop una dimensione artistica. Entrambe le band, nata l'una dalle ceneri dell'altra, hanno generato legioni di emuli, più o meno, soprattutto meno, dotati. Nonostante ciò, e nonostante i milioni di copie di dischi venduti (con i New Order, in particolare) Hook ha mantenuto un profilo pubblico lontano mille miglia dal divismo. Lo testimonia anche la prima parte della sua autobiografia Joy Division. Tutta la storia (Tsunami edizioni, pagg. 300, euro 20; in uscita mercoledì prossimo). Un libro ruvido, onesto, perfino spietato con se stesso. Un libro anche divertente, sebbene il culmine sia il suicidio di Ian Curtis (18 maggio 1980), cantante dei Joy Division, paroliere magnifico e ormai icona alla pari di un Jim Morrison.
Hook racconta gli esordi, i concerti con uno (1) spettatore, gli sputi del pubblico come segno di approvazione, le risse, gli scherzi infantili, la fama di «band di destra», che certo non aiutò nella scalata al relativo successo. Però non omette i piccoli narcisismi, concede di non aver capito il genio di Ian se non dopo la sua morte, ammette di aver sottovalutato i problemi del cantante perché, banalmente, c'era sempre un altro concerto a cui pensare.
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