Una P lunga, che copre le altre lettere con la testa come fosse una tettoia. Dietro l'inconfondibile logo Pirelli, utilizzato per la prima volta nel 1908, non c'è un autore preciso. Qualcuno prese semplicemente la firma «allungata» del fondatore Giovanni Battista che così vergava i documenti ufficiali. Ed è rimasto quasi inalterato nel tempo, affrontando giusto necessarie operazioni di minimo restyling, gli ultimi affidati a Salvatore Gregorietti e Pierluigi Cerri negli anni '80 e '90. Basta soffermarsi sul marchio per intuire quanto la più celebre azienda italiana di gomme e pneumatici abbia voluto stabilire un rapporto importante con arte e creatività. «La bellezza, l'innovazione, la produzione» recita il pay off della mostra Pirelli in cento immagini, aperta da oggi al 1° maggio presso la Biblioteca Archimede di Settimo Torinese, a pochi chilometri dal centro del capoluogo sabaudo.
Il perché sia stato scelto questo luogo non è casuale: la presenza di Pirelli a Settimo data agli anni '50, poi nel 1984 si è aggiunto un secondo stabilimento. Nel 2010, infine, inaugura il Polo Industriale, tra i più avanzati al mondo nel settore della ricerca e dell'innovazione. Un progetto affidato a Renzo Piano per un investimento di 300 milioni di euro, che ingloba la fabbrica attorno a 500 alberi di ciliegio. Altra circostanza interessante: uno dei maggiori comuni dell'hinterland torinese figura tra i candidati a capitale italiana della cultura per il 2018. Se la spuntasse, visto che non si tratta di una città d'arte dal particolare interesse turistico, si tratterebbe di un autentico rovesciamento del rapporto tra centro e periferia.
La mostra, piccola ma preziosa, non offre un percorso lineare ma una serie di spunti che incrociano Pirelli con le arti visive. Ci viene subito in mente il celeberrimo Calendario: non si tratta solo di questo. Il connubio Pirelli-arte comincia con il 900 e dal gusto Liberty si vira verso il modernismo. Negli anni '50 Bob Noorda disegna diverse pubblicità e progetta lo stand per il Salone dell'Automobile di Torino. L'azienda è molto attiva sulla propria immagine, al punto da produrre una rivista house organ dove nel 1961, per celebrare l'Unità d'Italia, viene chiamato Ugo Mulas, a illustrarne la nuova era. Gli artisti vengono chiamati in fabbrica e invitati a tradurre con disegni, dipinti, foto ciò che hanno visto, ed è soprattutto la pubblicità a cogliere lo spirito dell'innovazione: nel 1914 Stanley Charles Roowy disegna un'auto futurista, nel 1931 Renzo Bassi inventa la Stella Bianca per gli pneumatici Superflex, nel 1953 Bruno Munari «gioca» con il lettering per la suola Coria, nel 1958 Alessandro Mendini affronta impermeabili e borse dell'acqua calda con disegni che ricordano nello stile gli innamorati di Peynet. La bellezza, invece, diventa presto sinonimo di donna, il cui status segue di pari passo i cambiamenti della vita sociale. Nel 1952 una giovane attrice americana posa sul manifesto dei costumi da bagno elastici: è di spalle e gira la testa verso il pubblico, Marilyn Monroe non ancora icona, appena prima di diventare simbolo. Ma anche le dive italiane vengono scritturate come testimonial dall'azienda milanese, Marisa Allasio, Lucia Bosè, Sophia Loren.
Poi, nel 1964, la svolta, la nascita del mito. Il Calendario Pirelli si configura come l'esempio più importante al mondo di stretta relazione tra il mondo dell'industria e la committenza. Grandi fotografi internazionali vengono «scritturati» per interpretare il mondo femminile, ognuno con la propria cifra. Alla Biblioteca Archimede un «best of» di scatti diventati immortali, i cui autori vanno da Harri Peccinotti a Hans Feurer, da Mario Testino a Helmut Newton, da Bruce Weber a Richard Avedon, da Herb Ritts a Bert Stern. Ognuna di queste foto rivela come sia cambiata la donna in quasi mezzo secolo, passando da sex symbol a personalità carismatica del proprio tempo. «Gli autori racconta Amedeo Turello, curatore del Calendario - vengono scelti per ciò che sanno fare secondo il loro stile e linguaggio. Non solo nudo, dunque. Annie Leibovitz, ad esempio, ha fotografato donne impegnate nella cultura e Peter Lindbergh, nell'edizione 2017, ritratti di attrici non più giovani la cui bellezza passa dallo stereotipo all'archetipo».
In aggiunta Lindbergh ha affrontato il tema del lavoro, ambientando diverse inquadrature nel Polo di Settimo, scegliendo «di separare i percorsi dei due set di scatti e utilizzare quelli della fabbrica per realizzare in futuro un progetto autonomo e scisso da quello del Calendario». Che qui è presentato in anteprima.
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