Cultura e Spettacoli

Marion Cotillard folle d'amore in "Mal di Pietre"

Un mélo convenzionale ma dignitoso su una sorta di Bovary provenzale del dopoguerra, una donna ostinatamente autodistruttiva in cerca dell'amore assoluto

Marion Cotillard folle d'amore in "Mal di Pietre"

Presentato al Festival di Cannes dello scorso anno, "Mal di Pietre" è il libero adattamento di un romanzo della scrittrice Milena Agus uscito una quindicina di anni fa. Non è solo un melodramma decoroso, con una buona confezione ed un cast di interpreti affascinanti, ma soprattutto un viaggio in due modi speculari di vivere l'amore: l'uno tormentato ed ossessivo, l'altro silenzioso e profondo.
Il film è ambientato alla fine degli Anni Cinquanta in un paesino francese. Gabrielle (Marion Cotillard) è giovane, bella e innamorata delle storie romantiche di cui legge nei libri. Ha appena dato scandalo manifestando sentimenti, non ricambiati, per il maestro locale, un uomo sposato, quando la famiglia decide di arginare la sua irruenza combinandole un matrimonio. Il prescelto è un brav'uomo, José (Alex Brendemühl), muratore spagnolo gentile e onesto, scappato dal franchismo. Lei però continua a sognare il vero amore e, quando viene ricoverata in una clinica svizzera per curarsi il mal di pietre, ossia i calcoli renali, crede di incontrarlo in uno dei pazienti: un tenente dell’esercito (Louis Garrel) rimasto gravemente ferito durante la guerra in Indocina.
Quello di Nicole Garcia, attrice dedita da vari anni anche alla regia, è un film un po' d'altri tempi in cui la protagonista è tormentata da pulsioni e desideri fino a rasentare la follia. La sceneggiatura mette subito in chiaro che qualcosa non va in Gabrielle, presentandola come un'anima ribelle al bigottismo della propria epoca ma soprattutto come una creatura dalla mente senza pace, sempre sull'orlo del baratro. Da un lato le ossessioni la vivificano, dall'altro la imprigionano e, se schiavitù dev'essere, allora che le catene siano quelle di un amore impossibile. Sospesa tra mal di pietre e male di vivere, per Gabrielle il sogno romantico è medicina, antidoto a una routine che detesta e lascia alle persone comuni. Per sé vuole spasmi, desiderio, anche lacrime all'occorrenza, purché la conducano altrove indicandole una via di fuga. Condannata a trascorrere l'esistenza nell'attesa prima e nel rimpianto poi di un destino d'amore grandioso, la protagonista non coglie quel che invece lo spettatore ha modo di vedere da subito: “la cosa principale”, come definisce lei l'amore salvifico, l’ha sempre avuta accanto, nel marito. José non si è mai lasciato scalfire dalle speranze immaginarie della moglie, dai suoi fantasmi interiori, anzi li ha protetti per preservare l'equilibrio, già precario, della sua donna. E' nel sentimento silenzioso e dignitoso di quest'uomo, che resiste stoico alle intemperanze e alle presenze-assenze di una compagna che "vive in un mondo tutto suo", che Gabrielle e l'intero film trovano bilanciamento.


Lontano da manierismi e smancerie gratuite, "Mal di Pietre" è un'opera misurata (anche se in un paio di scene il ridicolo è in agguato), che non osa stilisticamente e ha un finale meno sorprendente di quanto vorrebbe essere, ma i cui personaggi e ambientazioni hanno senza dubbio un certo fascino.

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