Con quella faccia, poteva dire (e fare) ciò che voleva. Che avesse a fianco un monumento come Totò o una monumentale bella femmina come Tiziana Pini, il re dei trasformisti Alberto Sordi o il reuccio dei caratteristi Nik Novecento. Bastava far presenza, a Carlo Delle Piane, per dare spettacolo. La sua faccia lo era già da sola, uno spettacolo: occhioni sgranati e pungenti, da camaleonte, naso da pugile, rotto a tutte le esperienze. Poi, come perfetto corollario, quel fisico smilzo da secondo dopoguerra, degli anni cui risalgono le sue prime apparizioni al cinema, i tempi di una fame di vita mai saziata, e quelle gambette fragili e la camminata sghemba da anonimo uomo della strada. In più ci si mettevano la voce nasale figlia del suddetto naso, e quel modo di parlare sincopato, che fosse imbarazzato o agitato, che stesse fingendo (vedi il gelido avvocato Santelia, il baro di Regalo di Natale) o che stesse tremando come una foglia di fronte a un amore impossibile (vedi il tenero professor Carlo Balla di Una gita scolastica). La vita lo aveva reso una maschera, lui aveva aggiunto il volto, espressivo anche quando, avendo come punto di riferimento dichiarato l'asciuttezza e l'arte di sottrarre del grande Buster Keaton, tendeva a negare l'evidenza del ruolo, quasi a schermirsi, a stare sulla difensiva. Diceva Ennio Flaiano che «chi ha carattere ha un brutto carattere».
Considerato dai superficiali un semplice caratterista, Carlo Delle Piane smentiva il proprio aspetto dimesso e di carattere ne aveva da vendere. Faccia che non si dimentica, non era un uomo double face. Nel cinema e altrove, spesso è un difetto.
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