«Non siamo all'oasi ma è la fine del deserto», mi diceva ieri un amico gallerista genovese commentando la situazione attuale del mercato dell'arte italiano. Sono stati anni davvero difficili e chi è stato capace di resistere, a costo di enormi sacrifici e ridimensionamenti, oggi può sperare finalmente di raccogliere i frutti. All'estero il mercato è già ripartito bene. In questi giorni, fino a domenica, è di scena Miami Art Basel, la più divertente, chic e mondana delle fiere internazionali, frequentata da vip, attori di Hollywood, imbucati di ogni genere, di cui si favoleggiano feste memorabili nelle grandi ville di Ocean Drive. E c'è un segnale in controtendenza che faremo bene a considerare: la presenza delle gallerie italiane sale da 11 nel 2014 alle 15 attuali su un totale di 267. Un dato interessante che va saputo interpretare, poiché accanto ai ben noti «animali da fiera» come Artiaco, Rumma, Continua, Noero, De Carlo e Marconi, troviamo realtà che fino a poco tempo fa non sarebbero mai state considerate a un livello così alto, quali Mazzoleni e Tornabuoni.
Prima del fatale autunno 2008, infatti, il mercato era assai protezionistico: a certi autori era proibito avvicinarsi. In particolare l'Arte Povera risultava difesa da un muro invalicabile, una rete di protezione blindata in musei e poche gallerie qualificatissime. La crisi ha sparigliato queste vecchie regole proprio nel momento in cui, a parte Boetti e Penone, si registrava il fermo di buona parte degli altri autori. Sono intervenuti dunque sul mercato ambiziosi dealer e gallerie un tempo liquidate come commerciali con grande disponibilità di denaro fresco da immettere nel circuito. Hanno comprato a prezzi relativamente bassi opere che hanno tenuto da parte e quindi rivendute più avanti, dopo un attento lavoro di rivalutazione: prima di tutto Fontana, quindi Bonalumi e Castellani, poi Dadamaino e Scheggi, infine l'Arte Povera, con Pistoletto, Paolini, Boetti e Calzolari.
Gallerie dunque molto potenti dal punto di vista economico e gestite con attenzione, una logica familiare destinata a espandersi, in grado di creare un collezionismo completamente inedito di giovani professionisti, nuovi ricchi, calciatori, industriali con sedi all'estero e soprattutto tanti stranieri. A un certo punto agire in patria non poteva più bastare, è stato necessario un forte investimento di vetrina e la presenza nei luoghi giusti, soprattutto per farsi considerare dalle fiere internazionali, perché solo questo palcoscenico riesce a garantire un flusso di pubblico davvero danaroso. Non può stupire più di tanto che da Mazzoleni o Tornabuoni si trovino oggi i capolavori dello spazialismo, del concettuale e dell'Arte Povera più che nelle gallerie storiche. Le grandi fiere come appunto Miami Art Basel, Fiac di Parigi, il Tefaf di Maastricht o Frieze a Londra considerano queste nuove realtà, tra le poche in grado di garantire significativi fatturati, che non troppo tempo fa erano escluse perché giudicate superficialmente come mass market. Non saranno mai gallerie di proposte, non proporranno artisti di prima mano, però rappresentano una fetta di mercato che non è più possibile ignorare. Il passo successivo, obbligatorio, è superare la dimensione localista di Torino e Firenze e aprire filiali all'estero, sull'esempio di Gagosian che sedi sparse in tutto il mondo ne ha ben 16. Via dal mercato italiano asfittico e massacrato dalle tasse alla ricerca di nuova linfa per cui vale davvero la pena investire grandi cifre. Più ancora di New York è Londra la nuova mecca dei galleristi italiani, e non i quartieri hipster dell'East End ma la City tra Bond e Albemarle Street, dove gli affitti sono altissimi ma evidentemente il flusso di pubblico mondiale è garantito. Nell'autunno Mazzoleni e Tornabuoni (che è di stanza anche a Forte dei Marmi, Portofino e Parigi) hanno presentato le mostre di Burri e Fontana, una dimostrazione di potenza non indifferente. A pochi isolati di distanza Cristian Contini, figlio di Stefano, ha inaugurato una super retrospettiva dello scultore pop Robert Indiana e Jerome Zodo una collettiva di pittori italiani e stranieri, Boetti e Castellani, Hirst e Opie. Prima di loro, quando il mercato non tirava ancora così, aprirono Lorenzo Ronchini e Nicolò Sprovieri con proposte meno istituzionali e forse più fresche, ma è indubbio che l'attrazione per la città più importante d'Europa fosse già forte.
«Londra è il centro di gravità assoluto per il mercato dell'arte nel terzo millennio sostiene Cristian Contini - e si registra molta facilità a recepire nuovi volti: soprattutto non ci sono preconcetti, cosa che invece è ancora piuttosto radicata in Italia». Ma anche da noi siamo di fronte a un cambiamento se non epocale certamente molto significativo: queste nuove realtà, una via di mezzo tra l'azienda di famiglia e la multinazionale, potranno dettare legge su prezzi, contrattazioni, flussi e valori, smentendo l'antico concetto di militanza e di chiusura che le gallerie più snob avevano imposto.
Dai maestri degli anni '50 all'Arte Povera, passando per il Pop, molto passa attraverso di loro, e questi mercanti sono oggi in grado di controllare i risultati d'asta e verificare che il mercato dei loro artisti non scenda. Come in tutto il mondo, del resto, si sta allargando la forchetta in nome del potenziale economico. Non è detto che siano le situazioni più interessanti, ma certo bisogna farci i conti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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