Cultura e Spettacoli

Mr Piaggio, la libertà su due ruote

Dal 12 novembre fiction Rai sull'imprenditore. Con Alessio Boni

Paolo Scotti

Quando non avevamo che i nostri sogni, ma questi correvano per il mondo. Magari in groppa ad una Vespa. Cosa c'è dietro lo scooter divenuto una delle icone del miracolo del nostro dopoguerra, prova a raccontarlo Enrico Piaggio Un sogno italiano: il tv movie interpretato da Alessio Boni, il 12 novembre in prima serata su Raiuno. «Io ho avuto la mia prima Vespa a 14 anni ricorda l'attore- ed è stato il mio primo momento d'indipendenza. Ancora oggi cavalco una 200 Rally: guai a chi me la tocca». La storia del film, diretto da Umberto Marino e prodotto da Alessandro Loy, ripercorre «l'intuizione profetica di un imprenditore - racconta Boni - che nel 1946, in un momento in cui l'Italia era in ginocchio, pensò a chi aveva bisogno di muoversi, di ripartire, ma non aveva i soldi per farlo. E allora Enrico Piaggio trasformò la sua fabbrica di aeroplani nel centro di produzione di un nuovo un mezzo di trasporto: agile, innovativo, per le tasche di tutti. Facendone uno dei simboli del marketing italiano più noti al mondo». Con idee pubblicitarie geniali: «Come quella d'insistere con William Wyler, regista di Vacanze romane, perché facesse scorazzare per Roma Gregory Peck ed Audrey Hepburn proprio in sella ad una Vespa». Avviando tutte le conseguenze iconiche che sappiamo. Il messaggio di Enrico Piaggio è implicito: «In un'Italia in difficoltà, il ricordo di uomini che si rimboccarono le mani ripartendo dal nulla, dovrebbe essere fonte d'ispirazione. Oggi trionfano gli iphone, gli ipad: tutti io, io, io. Beh: se pensassimo meno all'io e più al noi, forse le sorti del Paese cambierebbero».

Accanto a questa positiva, però, una riflessione amara: «Il marchio Piaggio è uno dei pochi ancora italiano. Ma quanti simboli della nostra identità abbiamo svenduto? Quando di mezzo ci sono enormi quantità di denaro, l'orgoglio patrio e l'etica vanno a farsi benedire. Il nostro artigianato dovremmo difenderlo coi denti. ». Lo stile del racconto non vorrebbe essere agiografico («Piaggio non era un santo: gli piacevano le donne, i motori») anche se spesso e volentieri cede alla favolistica da fiction vecchio stile.

Così, a mettere i bastoni fra le ruote del papà del moto-scooter, ecco un cattivissimo banchiere (Francesco Pannofino) ed una malvagia ex fiamma di Piaggio (Violante Placido), coalizzati a tessere perfidi intrighi. «Io sono nato proprio nell'anno in cui è ambientata questa storia, il 1952 riflette il regista Marino - Allora i miei genitori erano ragazzi, e vissero quegli anni aurorali in cui un popolo contadino, appena uscito dalla guerra, ha cominciato a studiare, a progettare, a costruire un'onda di progresso. Su quel progresso Enrico Piaggio fu proprio come un surfer.

Capace di cavalcare l'onda.

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