Muti perfetto La «Consolazione» sia il preludio a un ritorno

Muti perfetto alla Scala

Muti perfetto La «Consolazione» sia il preludio a un ritorno

Il brano che Riccardo Muti ha scelto per iniziare il concerto dell'attesissimo ritorno al Teatro alla Scala, alla testa dell'Orchestra di cui è direttore musicale, la Chicago Symphony, è denso di significati. Consolazione di Alfredo Catalani era un omaggio pensato per Arturo Toscanini, grande direttore e riformatore dei costumi musicali, che ha rappresento un punto di riferimento etico nelle scelte operate da Muti durante i suoi vent'anni scaligeri. Con uno spiritoso titolo donizettiano potremmo chiamare la battaglia di entrambi, la guerra alle inconvenienze teatrali, intendendosi quel coacervo di pigrizie e abitudini che diventano col tempo norma non discussa. Un brano che ci ricorda le lotte di Muti per imporre titoli e autori dimenticati o appiattiti (da Gluck e Mozart a Paisiello, da Spontini e Cherubini fino al colosso Verdi). I tragici fatti d'Abruzzo e tutta la catena di sciagure che si sono abbattute nell'Italia Centrale hanno trasformato quel brano elegiaco in un epicedio verso le sofferenze dei connazionali colpiti. Il minuto di suffragio e la dedica di Muti a quella gente operosa e proba sono stati accolti con unanime partecipazione. Passata la commozione, ci siamo domandati se nelle menti di autorità e potenti (esentiamo quelli in piccionaia che la storia dell'opera italiana la masticano ancora) si sarà affacciata una domanda manzoniana: Catalani, «chi era costui?». Per i poco informati vale ricordare che Toscanini era legato da ammirazione e fraterna amicizia con Catalani, operista lucchese cresciuto nella Milano scapigliata guardando nella sua stessa direzione - a nord della Alpi, verso il Dio Wagner.

Catalani moriva a 39 anni, stroncato dalla tubercolosi, mentre, poco dopo, il suo concittadino Puccini entrava con Manon Lescaut nella storia della musica. Catalani sparì nell'ombra dell'avello, rimanendo nel cuore di Toscanini. I suoi figli Wally e Walter portavano i nomi dei protagonisti della sua ultima opera (Wally, 1892). Proprio Wally sembrerebbe un titolo per un eventuale «rientro» nell'agone scaligero di Muti ma non ci avventuriamo in speculazioni non richieste. Gli altri brani presentati nel trionfale concerto a cui abbiamo assistito Don Juan di Strauss e la Quarta sinfonia di Cjaikovskij hanno lascito l'uditorio a bocca aperta. Muti guida un'orchestra che ha un suono straordinario in tutte le sue sezioni, dove perfino il triangolo ha un timbro speciale: dorato e brillante. Cjaikovskij ha dato ulteriore lustro: non solo agli ottoni, travolgenti nel tema-destino, ma anche agli archi, per la sbalorditiva unità dei «pizzicati» nello Scherzo e per le scale volate in formidabili scariche elettriche. Lezione finale di brio e incisività verdiane con il bis della sinfonia del Nabucco. Altro che vecchio Verdi «risorgimentale», altro che rudimentale orchestratore.

Quella sinfonia diretta ed eseguita in quel modo è la quintessenza di una miscela perfetta di genio melodico e architettura ritmica. Una quadratura che si vorrebbe sentire sempre. Anche per questo ripetiamo il concetto: che questo passaggio sia il preludio a un ritorno.

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