In un romanzo giallo, due soluzioni non possono verificarsi: che il colpevole sia l'autore del romanzo e che la colpevole sia la trama del romanzo. La prima soluzione è negata dall'implicito patto d'onore fra scrittore e lettore: lo scrittore ha campo libero, purché resti nell'alveo del possibile, e in cambio il lettore può esser certo della sua... innocenza. La seconda soluzione, poi, è addirittura da escludere in toto, poiché la trama è composta da parole, non da fatti, e le parole, da sole, non hanno mai ucciso nessuno...
Jun'ichiro Tanizaki (1886 - 1975) non era un autore di romanzi gialli. Per questo in Nero su bianco, datato 1928 e per la prima volta proposto in italiano (Neri Pozza, pagg. 265, euro 17, traduzione di Gianluca Coci, da oggi nelle librerie), vuole farsi beffe di entrambe le soluzioni citate. Vi riesce? La risposta a questa domanda è la soluzione del suo «giallo», se vogliamo considerarlo tale. Ma lo vogliamo davvero?
Mizuno è uno scrittore accidioso, inaffidabile, ostaggio dei fantasmi del passato (compreso un matrimonio fallito) e del presente (compreso un erotismo contorto e represso sempre pronto a esplodere). Ha appena consegnato un racconto giallo alla rivista cui collabora, ma si accorge di aver commesso un gravissimo errore: in alcuni passi ha chiamato la vittima della storia con il nome della persona reale, che conosce e che disprezza, da lui usata come modello, ha scritto cioè «Kojima» invece di «Kodama». Così, da un banale refuso, inizia il suo dramma. Teme che qualcuno possa uccidere davvero Kojima con le esatte modalità da lui narrate allo scopo di incolparlo dell'assassinio e dunque compiere un delitto perfetto, con Mizuno nel ruolo della vittima. L'omicidio inventato da Mizuno è del tutto gratuito, una sorta di esercizio di stile frutto della noia e del male di vivere, più o meno come quello di Raskol'nikov in Delitto e castigo. Ma è a tal punto pura fiction da far sospettare che abbia un'altra natura... Mizuno tenta di correggere l'imperdonabile refuso, ma quelli della rivista gli dicono che non si può, che il racconto è ormai in stampa, nero su bianco. E dunque un omicidio finto, cioè soltanto scritto, rischia di diventare per Mizuno un reale suicidio involontario, o quanto meno... preterintenzionale. Così Mizuno, da abile scrittore, escogita la soluzione che potrebbe evitargli la pena capitale: far seguire il racconto da una narrazione più vasta di cui il racconto non sarebbe che una parte. Quindi, disinnescarlo. Ma occorre mettersi al lavoro, e alla svelta, perché «l'uomo nell'ombra», il reale potenziale assassino, è pronto ad agire...
Ed ecco che a questo punto Tanizaki gioca il suo jolly, facendo entrare in scena una delle sue classiche donne affascinanti e mortifere, una misteriosa prostituta incontrata da Mizuno in un locale. È una donna-kitsune, una donna-volpe tipica della tradizione giapponese: scaltra e crudele, solitaria e indecifrabile. Mizuno ne diventa il cliente abituale, lasciandosi trascinare in un gorgo di piacere dove perde la cognizione del tempo e dello spazio, e soprattutto la voglia di scrivere, pur sapendo che scrivere, mai come in questo frangente, equivale per lui a sopravvivere. Questa sospensione del «giallo» a vantaggio del noir che è la tazza di tè, o il bicchierino di sakè, di Tanizaki, pare sulle prime una digressione, invece diventa il vero nocciolo di Nero su bianco.
Perché quando accade ciò che Mizuno paventava, proprio la dark lady della quale è diventato lo zimbello potrebbe diventare il suo alibi.Comunque, Tanizaki è riuscito nel suo duplice intento di infrangere le due leggi del «giallo»: sia l'autore, sia la trama sono colpevoli. Con la differenza che soltanto alla seconda non si può applicare nessun castigo.
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