In Storia quasi mai esistono argomenti neutri. La neutralità dello storico è una perenne aspirazione degli studiosi seri, ma quasi mai una realtà. Tutto questo risulta amplificato se si parla di storia contemporanea. E ancora di più quando si parla di una questione complessa come la storia del fascismo.
La storia di quel movimento politico, dopo il 1945 è stata scritta quasi unicamente dai vincitori. Fa eccezione la Storia del fascismo. 1914-1943 Dalla rivoluzione allo Stato scritta da Giorgio Pisanò, di cui a partire da oggi pubblichiamo il primo volume in allegato con il Giornale. Giorgio Pisanò (1924-1997) del fascismo ha condiviso la fase finale della parabola politica. A 18 anni ebbe il comando della Compagnia Giovani Fascisti di pronto intervento del Comando generale della Gil di Taranto, addestrata per i soccorsi alla popolazione civile. L'8 settembre 1943 lo colse a Pistoia, dove fece rapidissimamente la sua scelta in favore della Rsi. Entrò poi volontario nel battaglione Nuotatori Paracadutisti della Decima Mas. Brillante e coraggioso, venne destinato ai servizi speciali di sabotaggio e di informazione. Paracadutato oltre le linee alleate, fu catturato due volte, riuscendo però sempre a scappare. Promosso due volte per meriti di guerra, venne poi assegnato al Quartier generale del Duce e ad altri incarichi di rilievo. Sino alla sua cattura, avvenuta il 28 aprile 1945 alla testa di un reparto di brigate nere.
Tra i fondatori dell'Msi dopo la guerra, Pisanò ebbe quindi del fascismo una visione dall'interno. Quando il suo saggio venne pubblicato la prima volta, tra il 1988 e il 1990, pose l'attenzione su una serie di temi su cui la storiografia accademica, se si esclude Renzo De Felice, aveva spesso sorvolato. Una per tutte: il clima di grande violenza che connotò il cosiddetto «Biennio rosso» che culminò con l'occupazione delle fabbriche nel settembre 1920. Pisanò, proprio nel primo volume che presentiamo questa settimana, mette chiaramente in luce come i fascisti furono tutt'altro che l'unica forza a utilizzare la violenza e come le violenze di chi sognava un bolscevismo, in stile sovietico, siano state spesso alla base della reazione fascista.
Un buon esempio di questa narrazione attenta è il capitolo dedicato ai fatti dell'aprile 1919 che portarono all'assalto contro il giornale socialista Avanti!. Le manifestazioni socialiste furono violentissime ed ebbero come bersaglio i nazionalisti. Ciò innescò una reazione a catena. Come sempre Pisanò utilizza e rende disponibili al lettore le fonti dell'epoca, a partire dai giornali. Le cronache più eloquenti sono quelle super partes del Corriere della Sera. Per capire quanto fosse teso il clima politico basti vedere in quali termini si espresse Pietro Nenni (che poi di Mussolini divenne fiero oppositore, da posizioni socialiste) proprio sull'attacco all'Avanti!: «Chi non ha diritto di protestare è proprio l'Avanti!, esaltatore della guerra civile. Credevano forse in via San Damiano che si potesse seminare a piene mani l'odio contro gli interventisti ed i patrioti, credevano che si potesse esaltare la dittatura del proletariato come redde rationem per chi aveva amato il proprio Paese, senza che la reazione fosse immediata ed impetuosa? Alla rivoluzione come alla rivoluzione». Pisanò fa ben capire anche quanto Mussolini fosse invece attento a dosare la violenza e a ritagliarsi un ruolo rassicurante verso i partiti più tradizionali e non legati al combattentismo. A costo anche di scontrarsi con i ras più intransigenti, come Dino Grandi.
Ovviamente la narrazione di Pisanò non è neutra. Parliamo di uno storico e di un giornalista che non ha mai rinnegato la sua appartenenza d'area. Però dove la sua narrazione è orientata, l'orientamento è palese, manifesto.
È nel commento ai fatti, non nel racconto dei medesimi. Questo rende il volume uno strumento di lettura ancora validissimo a molti anni di distanza dalla sua stesura. E, come sempre nel caso delle opere di Pisanò, davvero impressionante è anche l'apparato fotografico.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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