È angosciante l'idea di perdere la memoria, perché noi siamo ciò che ricordiamo, ma cosa accadrebbe se ricordassimo tutto? Sarebbe un disastro. Come nel racconto del 1942 di Jorge Luis Borges, Funes, o della memoria, dove si narra di un contadino che dopo essere caduto da cavallo acquista una memoria talmente prodigiosa da rendergli impossibile la vita. Al racconto si è interessato il bioingegnere Rodrigo Quan Quiroga, dedicandogli un brillante saggio, Borges e la memoria, edito da Erickson nella collana di neuroscienze diretta da Giorgio Vallortigara. Borges fu ispirato da letture filosofiche e letterarie, e soprattutto ragionò su Joyce (svolgendosi l'Ulisse nell'arco di una sola giornata). «Facciamo conto che esista una persona che non riesce a dimenticare nulla di ciò che ha appreso, proprio come succede nell'Ulisse di Joyce» spiegò. «È così che ho avuto l'idea di concepire un personaggio che, non riuscendo a dimenticare tali eventi, alla fine muore annientato dalla sua memoria infinita». Pensateci: se ricordaste tutto di ogni momento, non riuscireste più neppure a capire cos'è per voi quel momento, o a riconoscere l'espressione di un volto, sommersi dai dettagli.
Per questo l'evoluzione ha fatto sì che sono più le cose che dimentichiamo di quante ne ricordiamo. Quiroga, tenendo il Funes di Borges come filo rosso, passa in rassegna casi di persone dotate di estrema memoria, tra cui il giornalista Solomon Shereshevsky, studiato dallo psicologo russo Aleksandr Lurija che gli dedicò anche un libro, Viaggio nella mente di un uomo che non dimenticava nulla. Ci sono poi altri casi di memorie prodigiose, per esempio in chi è affetto dalla «sindrome del savant», come Laurent Kim Peck, il quale divenne famoso dopo il film Rain man, a lui ispirato. Una mente come un computer (lo chiamavano kim-puter) ma incapace di risolvere problemi che richiedevano nuovi ragionamenti, o di capire metafore.
Kim poteva leggere e memorizzare in 8 secondi due pagine in simultanea, ma se gli chiedevi il significato di «Non è tutto oro quello che luccica» rispondeva con frasi senza senso, tipo: «ti do un chilo della mia carne se non ti curi». Insomma, come scrisse Elias Canetti: «Gradi della disperazione: non ricordarsi di nulla, ricordare qualcosa, ricordare tutto».
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