Cultura e Spettacoli

Le star di internet che riducono la tv al proprio tinello

Twitter è la nuova moda della tv intelligente. Lo usano gli autori più arguti, i giornalisti più sagaci, i blogger più invidiati. È uno status symbol, un gadget che fa figo, pura avanguardia. Peccato che, trasferiti in tv, i cinguettii dell'uccellino azzurro stridano un tantino. Troppo elitari, leziosi, selettivi. La Rai ci crede molto e sta infarcendo i suoi palinsesti di seconda serata e le striscie quotidiane di programmini trendy. Gazebo di Diego Bianchi in arte Zoro, la domenica sera su Raitre, #aggratis, al martedì sera su Raidue, e Celi, mio marito! di Lia Celi, tutti i giorni all'ora di cena su Raitre. Una bella infornata di intelligenze, di nuove leve del web che fanno tv sentendosi già di culto senza esserlo ancora. Su Sky la Selvaggia Lucarelli di Celebrity now, appena terminato, è un filo più scanzonato.
Per il resto, c'è qualcosa che non torna. Nei nuovi magazine tra il comico, la satira e la politica rivisitata, il social network non è usato come uno strumento per comprendere e intercettare le domande del pubblico da riproporre in tempo reale agli ospiti come avviene per esempio a Piazzapulita, a In onda o a Servizio pubblico. No: Twitter è la platea virtuale, l'universo chiuso di riferimento, al massimo una fonte di cazzeggio. Dal social come sonda sulla realtà a vezzo intellò. A lente rovesciata al contrario e puntata sul proprio ombelico minimalista, politico o comico che sia.
L'altra sera, Celi, firma storica di Cuore e titolare di un seguitissimo blog, l'ha definito un «grande bar virtuale», dove ci si trovano giornalisti, politici, attrici, fancazzisti... Perfetto. Ma perché, senza uno straccio di contenuti, questo bar virtuale dovrebbe avere l'attenzione del pubblico della tv generalista? I calembour e i giochi di parole possono essere azzeccati: #amanticeposto per parlare di tradimento, #hobisognodaffitto per discutere della vita da coinquilini. Ma restiamo sempre al cazzeggio: un'amica di Londra scaricata dal fusto che l'aveva invitata appena citofona la fidanzata, i piatti incrostati del compagno di appartamento che non ha ancora imparato l'arte della convivenza. Nella cornice di una terrazza di provincia Twitter è la schiuma del cappuccino o della birra, fate voi, senza che sotto ci siano né il cappuccino né la birra. Un po' meglio va a Gazebo, il magazine romano «de sinistra» di Raitre. Anche qui autori super come Marco Dambrosio in arte Makkox, Max Paiella (stupenda l'esortazione a Zoro: «dobbiamo pacificarci, c'è la pacificazione... perché continui ad alimentare un clima d'odio») e ospiti gettonati come Marco Damilano dell'Espresso. L'universo esplorato è lo sconfittismo del Pd confrontato con i rigurgiti di frustrazione emergenti dal social network usato come sfogatoio, autocoscienza sul web. Ma quando, seguendo Civati durante l'intervento di Letta alla Camera per la fiducia, Damilano osserva «Attenzione: c'è una fila che comincia con Civati e finisce con Cuperlo», ci si accorge che anche i migliori sono affetti da autoreferenzialità galoppante. Ad #aggratis condotto da Fabio Canino e Chiara Francini, invece ci sono due programmi in uno. La sfilata di giovani comici come già in Convenscion e Tintoria, sempre ideati da Gregorio Paolini, e il «momento Twitter»: il sostegno agli account con pochi followers (l'altra sera era a Walter Nudo) e il commento alla puntata in corso a cura della twitter-star @stazzitta. Il capolavoro assoluto e davvero rivelatore è arrivato quando Canino ha presentato Tommaso Cerno dell'Espresso, autore di un libro intitolato Inferno. Per Cerno «Dante è il primo inventore di Twitter perché le terzine hanno sempre meno di 140 caratteri. E poi si tramandano nei secoli... Cioè, si retwittano». Ecco qua: girato al contrario Twitter è una perfetta lente di rimpicciolimento.

E l'illusione ottica è servita: come siamo fighi.

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