«Tarantino un genio Ma avrei voluto fare La grande bellezza»

Il grande attore (77 anni) premiato a Locarno: «Dai film italiani è nato tutto»

Stefano Giani

nostro inviato a Locarno

Non ha ancora scoperto chi stia bussando alla sua porta, Harvey Keitel. Eppure è quasi mezzo secolo che se lo domanda (da Chi sta bussando alla mia porta? di Scorsese nel 1967). Lo ha ammesso al Festival di Locarno, dove ha ricevuto il Pardo. È uomo elegante, benché sia sempre stato un maledetto doc. Il cattivo tenente per Ferrara. Giuda nell'Ultima tentazione di Cristo per Scorsese. Il protettore in Taxi driver. Un mafioso in Mean streets. Il bonapartista in disgrazia ne I duellanti di Altman. «Ho recitato in mille ruoli, ma quel primo film è stato profetico. Sono sempre alla ricerca di chi sta bussando alla mia porta. Un modo di scavare dentro me stesso. Ma ognuno di noi tenta di dare una risposta a questa domanda».

Era il suo primo film, come ha ottenuto quella parte.

«In un provino che rischiò di finire a botte. E quando stavo per picchiare la commissione mi sentii chiamare. Era Scorsese. Harvey, è improvvisazione. Ci ridemmo su, ma non l'ha più fatto».

Vi conoscevate fin dalla scuola.

«Certo. Abbiamo girato anche a casa sua. E io ero a letto con l'attrice quando suo padre tornò per cena. Ne venne fuori un putiferio, ma la mamma di Martin mise tutto a posto».

Poi vennero Altman e Tavernier.

«Quando vidi L'orologiaio di St Paul confessai a un amico che Bertrand era il regista con cui mi sarebbe piaciuto lavorare e scoprii che lui aveva detto la stessa cosa di me. Sei anni dopo eravamo insieme nella Morte in diretta con Romy Schneider».

Sono mister Wolfe, risolvo problemi, ricorda questa battuta.

«Pulp fiction. Avevo già girato Le iene, con Tarantino. È un talento assoluto a scrivere sceneggiature».

Scorsese. Tarantino. De Palma. Ferrara. Come mai tutta questa intesa con gli italoamericani.

«Forse perché sono mezzo italiano anch'io».

Che cosa pensa dei nostri film?

«Avete un patrimonio immenso. Il vostro cinema e quello francese sono la madre da cui tutto è nato. Poi ha avuto un momento di difficoltà, ma ora si sta riprendendo. E ne sono felice».

Quindi lo ricorda con piacere.

«Ho avuto la fortuna di lavorare con Ettore Scola. Dario Argento e Lina Wertmuller. Qualche anno fa anche con Sorrentino in Youth. D'accordo, lo ammetto. Avrei voluto fare anche La grande bellezza. Sarà per la prossima vita».

Ha avuto maestri importanti anche tra gli attori.

«Marlon Brando, soprattutto, quando il mito era James Dean».

Lei appartiene alla generazione cresciuta con il metodo Stanislavsky che oggi non si usa più.

«In realtà non è mai tramontato. Ogni attore lo utilizza anche se talvolta non se ne accorge. Ognuno si immedesima nella propria parte. Anche nella vita».

Sveli un segreto. Trump o Clinton?

«Ma non stavamo parlando di cinema A parte gli scherzi, l'America sta cercando di fare qualcosa di importante in un momento in cui serve essere tutti uniti. L'importante è non perdere d'occhio l'obiettivo comune».

Che cos'è la violenza per un cattivo di lungo corso come lei.

«Non va usata. Mai».

Quale film non le è riuscito.

«Per uno solo mi è rimasto il rimpianto. La zona grigia. Meritava di più...».

Che cos'è la fama per chi l'ha raggiunta.

«Qualcosa che conta poco. Perché tutti siamo artefici di noi stessi. Ognuno di noi ha la propria Hollywood da rendere concreta».

E adesso

«Adesso volo a Parigi. Ho 77 anni, appena compiuti ma la pensione può attendere».

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