Torna a splendere il genio di Pontormo con i colori puri della "Deposizione"

Torna a splendere il genio di Pontormo con i colori puri della "Deposizione"

Da Firenze

Vedere da vicino La Deposizione del Pontormo è come entrare nel mondo delle favole. Dove avrà scovato quell'azzurro con cui aggroviglia il manto della Madonna? E la trasparenza sottile della nuvola, in alto a sinistra? Jacopo Carucci, alias Pontormo (1494-1577), ci guarda con occhi stralunati dall'estremità destra del dipinto, in un autoritratto che pare una firma. Siamo nello studio di Daniele Rossi, 59 anni, abile nel far tornare in vita i colori della storia dell'arte (ha curato Pollaiolo e Duccio). Usa una tavolozza di polveri dalle mille sfumature: mano delicata e occhio attento, si muove in uno spazio alchemico. Da cinque mesi lavora al restauro della Cappella Capponi di Santa Felicita, a Firenze, progettata nel 1420 dal Brunelleschi e nel 1526 affidata dai committenti a Pontormo per essere affrescata: oltre alla celebre Deposizione e alla sua maestosa cornice dorata, vi sono da recuperare due magnifici affreschi dell'Annunciazione, staccati dopo l'alluvione del 1966. La leggenda (Vasari) narra che il Pontormo s'inflisse un autoesilio di tre anni nella cappella prima di svelare al mondo quello che oggi celebriamo come il capolavoro del Manierismo: 11 figure avviluppate, anzi annodate tra loro, in una piramide rovesciata che strizza l'occhio a Michelangelo e che per purezza del colore pare «senz'ombra» (sempre Vasari).

A vederla finalmente ripulita (dalle polveri, dai tarli), lascia senza parole. L'umbratile e ossessivo Pontormo (primo artista a redigere un diario alimentare: Vanessa Beecroft si è ispirata a lui) era, dice Rossi, «uno studioso del nuovo, uno sperimentatore». Tutti sceglievano la pittura a olio? Lui opta per la tempera a uovo. Lo ha scoperto proprio Rossi in questi mesi di frequentazione ravvicinata col dipinto. Mescolata a colori minerali (come l'azzurrite, tratta dal rame) e lacche, la tempera crea, complice la pennellata sminuzzata, una pittura di luce, sconcertante per l'epoca. Incurante dei gusti della committenza, Pontormo si perde tra insolite campiture di colore: rosa, azzurrino, un filo di rosso come contorno delle mani. E fa vesti senza polsini, «quasi fossero tute adamitiche tatuate sulla pelle», commenta Rossi. Una Deposizione in cui nessuno si cura del corpo di Cristo, in cui non c'è la tomba, che deposizione è? «È un'opera sul dolore di chi resta, filtrato dalla Maniera, intesa come modo autonomo e originale di rappresentare il mondo», chiosa Daniele Rapino della Soprintendenza.

Vanno ringraziati i Friends of Florence per l'ingente restauro (105mila euro): la Deposizione ritrovata - non lasciava Santa Felicita dal '35 - tornerà nella Cappella Capponi il prossimo gennaio. Prima, dal 21 settembre, sarà la gemma della mostra «Cinquecento a Firenze» a Palazzo Strozzi.

Dopo i discussi gommoni di Ai Weiwei e i video di Bill Viola (ora in corso), il direttore Arturo Galansino torna ai grandi del passato: Pontormo o quel geniaccio di Rosso Fiorentino (si vocifera il prestito della celeberrima Deposizione di Volterra) hanno ancora tanto da dire.

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