"Torno alla Scala ma solo per due sere.. Il rientro? Dipende!"

Il maestro a Milano con la Chicago Symphony: "Il brano di Catalani è un omaggio a Toscanini"

"Torno alla Scala ma solo per due sere.. Il rientro? Dipende!"

Il maestro Riccardo Muti si è fatto raggiungere al telefono mentre è ad Amburgo, in una delle tappe dell'attesissimo giro europeo alla testa dell'orchestra di cui oggi è direttore musicale, la celeberrima Chicago Symphony. Una tournée che tocca alcune delle capitali musicali d'Europa: Parigi, Amburgo, Francoforte, Vienna e, per due sere, Milano, città dove Riccardo Muti, come direttore d'orchestra, manca da quando si è interrotto il rapporto che lo legava, come il direttore musicale di più lunga durata, dal 1986 al 2005, al Teatro alla Scala.

Arturo Toscanini, dopo la «rottura» con la Scala, quando tornava a Milano soleva passeggiare solitario e guardare l'edificio dal di fuori. Lei, oggi, quando guarda la Scala cosa sente?

«Sento di avere passato vent'anni stupendi. Vent'anni di battaglie, come quella per riportare la Traviata di Verdi: eseguirla sembrava commettere un reato di lesa maestà. Prima dell'andata in scena giravano volantini listati a lutto: Oggi muore Violetta. Del periodo scaligero, iniziato nel 1981 con le Nozze di Figaro, mi piace ricordare con particolare soddisfazione l'allestimento della Trilogia popolare di Verdi (Traviata, Rigoletto e Trovatore) e quello della Trilogia Mozart Da Ponte (Nozze, Don Giovanni e Così fan tutte), e il fatto di essere riuscito ad eseguire tutte e tre queste opere, a rotazione, nello stesso mese».

Si è molto parlato di un suo ritorno alla Scala, con ricami e variazioni sul tema, però questi concerti non rappresentano un rientro.

«Non mi piace ammorbare gli animi, sembrare prezioso: viene, non viene, sì, no. Con la Scala sono andato in giro per il mondo, ho fatto incisioni operistiche e sinfoniche, ma bisogna andar cauti per parlare di rientro, soprattutto dopo il finale, dove è successo di tutto. Il Sovrintendente Pereira si adopera per questo rientro, ma dipende da tante cose: dai miei impegni a Chicago e da quelli con la Filarmonica di Vienna, con cui festeggio 47 anni di attività ininterrotta».

Qualcuno, poco informato, si è domandato come mai, con un'orchestra così potente come la Chicago Symphony, lei abbia deciso di iniziare il primo dei due concerti con un brano di dimensioni «ridotte», Contemplazione di Alfredo Catalani.

«Vorrei ricordare che Alfredo Catalani è stato un operista amatissimo da Arturo Toscanini e che proprio alla Scala, il 20 gennaio di 115 anni fa, si è data la prima esecuzione della sua opera maggiore, Wally. Toscanini sosteneva che se Catalani fosse vissuto più a lungo la storia dell'opera italiana sarebbe stata arricchita da una figura importante. Quindi è un brano con cui intendo rendere un duplice omaggio, a Toscanini e alla Scala».

Un omaggio sinfonico alla storia operistica. Ma di recente ha ricordato il proposito di non dirigere più opere.

«Ho detto che non avrei più eseguito opere in forma scenica. Infatti ho diretto un'altra trilogia, quella Verdi-Shakespeare (Macbeth, Otello e Falstaff) in forma di concerto a Chicago».

E ha fatto due eccezioni, sempre verdiane, a Salisburgo.

«Nabucco con il Teatro dell'Opera di Roma ed Ernani con la Cherubini. E nel prossimo Festival di Salisburgo dirigerò Aida. Ho trovato in Shirin Neshat una regista che si avvicina alla mia idea di Aida opera non elefantiaca, non mastodontica. Proprio come l'avevamo pensata con Giorgio Strehler, che è morto prima di realizzarla, il quale mi diceva: Il trionfo non ha bisogno di nulla, il trionfo è già tutto nella musica. Questa regista, mi pare, possa mettere a fuoco il fulcro dell'opera: lo scontro fra due donne, due culture, due razze diverse».

Proseguirà a Salisburgo le sue quasi «nozze d'oro» con la Filarmonica di Vienna?

«Sì, fra l'altro ho ricevuto da loro anche un'onorificenza rara, il Ring, l'anello che sancisce un matrimonio. Confesso che l'Austria è la nazione che mi ha conferito il maggior numero di riconoscimenti: sono membro onorario della Società degli Amici della Musica, dell'Opera di Stato e della Cappella di Vienna. E sono fiero che i Wiener sappiano che insieme possiamo tenere vivo il loro patrimonio più sacro, il suono. Un suono che ho sentito passare attraverso tre generazioni di musicisti».

E quello di Chicago come lo definirebbe?

«È stato ed è molto europeo: i primi concerti a Chicago avevano i programmi stampati in tedesco. Hanno un suono potentissimo e anche equilibrato. Non ci sono soltanto gli ottoni migliori del mondo, anche gli archi e i legni sono straordinari. Suonare il repertorio italiano ha portato una luminosità e cantabilità nuove».

Tutta questa qualità nasce in condizioni lavorative diverse da quelle nostrane.

«Negli Stati Uniti il sindacato dei musicisti si preoccupa delle condizioni di vita e di lavoro. Ogni tre anni discute con il management il rinnovo del contratto e stabilisce lo stipendio base.

Poi ogni musicista discute eventuali aggiunte. In questo caso viene sempre chiesto il parere del direttore musicale».

Chi ama la musica come la ama Riccardo Muti si augura che questo passaggio costituisca l'inizio di un ritorno.

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