Non solo cultura e azione, ma anche e soprattutto vita voluttuosa, amanti, eleganza, stile, contatto con la natura sono i tratti distintivi della vita di Gabriele D'Annunzio. Soprattutto l'abbigliamento, suo e delle numerose donne che «vestiva» esibendo il corpo femminile senza trucchi né imbottiture, costituiscono lo «stile d'Annunzio», racchiuso nella pomposa frase: «Divenuto io sono una grande opera d'arte».
La classe del Vate - partito come ineffabile cronista romano del bel mondo umbertino - è raccontata nel bel libro di Giordano Bruno Guerri D'Annunzio e il piacere della moda (Rubbettino, pagg. 155, euro 24) con una ampia raccolta di fotografie di Lorenzo Capellini che fa rivivere alcuni degli abiti creati dal vate per le sue «belle di notte» facendoli indossare a due modelle riprese all'interno della Prioria. D'Annuzio, già celebre a fine Ottocento per la sua poesia, i suoi romanzi, i suoi insaziabili amori, diventa un mito con il suo volo su Vienna e la conquista di Fiume. È allora, a 58 anni, che decide di ritirarsi a vita privata in un luogo tranquillo, possibilmente sul lago di Garda. È qui, a Villa Cragnacco (futuro Vittoriale) che vivrà come un Principe del Rinascimento, lavorando nella «Santa fabbrica» con artisti del calibro di Gio Ponti, Guido Marussig e Mariano Fortuny. È proprio insieme a Fortuny che dal Vittoriale passerà la rivoluzione della moda femminile degli anni Venti e Trenta. Nascono linee morbide e avvolgenti; le donne sono liberate dal tormento dei busti, delle stringhe, delle stecche di balena, a favore della frivolezza e della sensualità. Fortuny crea l'abito detto «Delphos» che riscuote un immediato successo. È una tunica in seta plissettata. Fortuny aveva inventato una tecnica per stampare i tessuti, soprattutto in oro e argento, e il Vate lo seguì su questa strada creando le cosiddette «stoffe vittoriane». Ne regalò una, adornata con splendidi motivi zodiacali, alla figlia del Duce, per il suo matrimonio con Ciano, scrivendo a Mussolini il 3 aprile 1930: «Ho trovato il modo di dipingere a mano velluti e sete e veli abolendo - non senza prodigio - la grossezza del colore. Ne offro un saggio - ottimo per un mantello, che serbi l'architettura della figurazione - alla tua Edda».
Neanche nella moda recede dal suo gusto per il classico; lo ispirano tra l'altro l'arte rinascimentale e le acconciature dei marmi greci. Le sue «belle di notte» sfilano con soprabiti scollati, seducenti trasparenze, vestaglie floreali (come quelle meravigliose che indossa lui), tuniche ispirate alle antiche statue di Prassitele. «Versione elegante del re Mida - scrive Guerri - tutto ciò che tocca è destinato a mutare». Gabriel nuntius si diletta nel seguire in tutti i dettagli e in tutti i passaggi gli abiti delle sue donne, che siano ragazze attratte dal suo fascino, che siano vecchie amiche come la marchesa Luisa Casati Stampa o Ida Rubinstein, che siano veri amori come la contessa Scarpinelli, per cui comprò la sua ultima automobile, l'Isotta Fraschini ora esposta nel nuovo museo «L'automobile è femmina». «Tutte le donne del Comandante - scrive ancora Guerri - dovevano indossare le mise scelte da lui, dovevano essere raffinate come le dame che ritraeva nelle cronache mondane romane... L'inerme passività della musa romantica, lacrimosa e sofferente, cede al protagonismo di una dea fatale che non trascura nessuna arma della seduzione, che guida le automobili, beve champagne e fuma, con malcelata malizia, il prezioso bocchino d'onice o di lapislazzuli che immancabilmente il Poeta dona alle sue ospiti». Secondo le sue parole, il Vittoriale era anche «un laboratorio di sarte e di modiste».
Per gli abiti, ma anche per la biancheria intima, sottovesti e camicie da notte che diventano sempre più sofisticate e sexy, d'Annunzio si rivolge a un'istituzione della moda milanese come Biki, nome d'arte di Elvira Leonardi Bouyeure (nipote di Puccini). La ribattezza, come suo costume, e la chiama Domina, signora della moda, cui spedisce manciate di pietre dure da cucire sulle camicie da notte, chiedendole capi sempre più sexy e intriganti, negligee di seta neri, vestaglie in broccato o in velluto orientaleggianti. Le «Belle di notte» che si facevano belle per lui da sole, spesso andavano incontro a solenni bocciature. Così Ines Pradella, una quindicenne che nel 1924 il pittore Guido Cadorin sceglie come modella per affrescare «la stanza del lebbroso».
Sei anni dopo il Poeta la inviterà alla sua corte (donandole mille lire e due meravigliosi veli celesti di sua produzione); è l'occasione della vita e lei si presenta con un abito verde acqua, svolazzante, in tinta con i suoi capelli biondi, creato da un noto sarto della zona. «Il vestito suscita l'indignazione dell'ospite schifiltoso», ricorda Guerri.
La bellissima Ines riesce però a strappare un secondo appuntamento, ma il vate prima di riceverla la ammonisce: «Ti prego di mettere il vestito grigio chiaro, e non quello dell'altra sera; che è orribile e non voglio più vedere. Non comprare vestiti. Ti darò io quelli che ti s'addicono, quelli che mettono in rilievo la tua bella persona».
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