Cultura e Spettacoli

Votate il "partito Pessoa" che difende l'individuo. Contro la modernità e il comunismo

Tornano i frammenti più scomodi del grande scrittore portoghese (ribelle)

Votate il "partito Pessoa" che difende l'individuo. Contro la modernità e il comunismo

Pessoa, passato come il santino che dilazionava il proprio genio in una falange di eteronimi, pacato, cordiale, silenzioso, cappello, occhialini, baffetti, eventualmente scambiato con il Mastroianni di Sostiene Pereira o con la statua che lo raffigura davanti ai migliori bar di Lisbona, riteneva insostenibile l'ideologia comunista, era un paladino dell'individuo, odiava la massa. Così, il grande Pessoa, come Bernardo Soares, «aiutante contabile nella città di Lisbona», scriveva Il libro dell'inquietudine, «il diario di un'anima e al contempo uno straordinario antiromanzo» (Antonio Tabucchi), e con il nome proprio, Fernando Pessoa, redigeva astiosi e astrali programmi politici. «Certo è che tra un operaio e una scimmia vi è meno differenza che tra un operaio e un uomo realmente colto. Il popolo non è educabile, poiché è popolo. Se fosse possibile trasformarlo in individui sarebbe educabile, sarebbe educato, ma non sarebbe più popolo», scrive ne Il significato del sidonismo. Nello stesso anno il 1918 Pessoa/Soares appunta: «Non ho un'idea di me stesso; neppure quella che consiste in una mancanza di idea di me stesso. Sono un nomade della coscienza di me». Tra lo speleologo dell'anima un labirinto dove proliferano Minotauri e il nemico del popolo non c'è differenza, in effetti, perché Pessoa è nessuno e centomila, ma è soprattutto uno. Così, quando parla del popolo, lo scrittore mira a disintegrare l'ideologia comunista realizzata in Unione Sovietica, censita con un mirabile aforisma: «Mirando alla libertà, alla liberazione degli operai e dei deboli, il bolscevismo oppresse altri deboli e non liberò chi disse di servire».

Dalla nuova edizione di Politica e profezia, che raccoglie Appunti e frammenti di Fernando Pessoa curati da Brunello Natale De Cusatis, edita da Bietti (pagg. 380, euro 24; briosamente rabbiosa la nuova introduzione, che smonta l'agiografia di Pessoa redatta da Tabucchi), possiamo trarre, per gioco, il manifesto politico del più enigmatico tra gli scrittori del Novecento. Ecco i punti decisivi del programma del Partito Pessoa, fondato e ragionato dallo scrittore Fernando Pessoa a partire dal 1910, l'anno in cui il Portogallo lascia la monarchia per la Repubblica.

Antimodernità: «Un nuovo partito dev'essere rigorosamente individualista, nitidamente sprezzante di tutto quanto, nel tumultuare moderno, rappresenti, sebbene sotto la forma del progresso, degenerazione e debolezza sociali».

Individualismo sovrano: «La nostra civiltà è organicamente individualistica. Lo è perché poggia su due elementi: la cultura greca, che può definirsi come un individualismo razionalista, e il capitalismo moderno, in cui il fenomeno della concorrenza è distintivo. Tutte le volte che la civiltà ha tentato di fuggire il tipo individualista ha subito un ristagno o una perturbazione».

Messianismo: «Non vi è riforma sociale che non parta da un uomo di genio. Da questo passa a una piccola minoranza, poi a una minoranza maggiore, fino ad allargarsi alla società intera. Non è, dunque, interamente assurdo il concetto provvidenzialistico della vita delle società: la civiltà è opera di uomini di genio».

Laicismo anticattolico: «Quando assisteremo, finalmente, con la morte della Chiesa Cattolica, al rodimento ultimo e definitivo dell'Impero Romano? Quando verrà l'Anticristo? Fino al momento del suo avvento, non ci sarà pace nelle anime né disciplina nei cuori».

Percezione della decadenza: «Siamo nati malati. Una malattia intima, un'instabilità radicale, rode il midollo della civiltà europea».

Europeismo critico: «Quattro sono le basi su cui poggia la civiltà europea, quattro i principi che ne costituiscono l'individualità o l'essenza. Essi sono: la Cultura Greca, l'Ordinamento Romano, la Morale Cristiana e la Politica Inglese».

Dittatura alla bisogna: «Benché illegale, tuttavia, una dittatura può essere giustificata dalle circostanze, allorquando in un Paese lo stato di anarchia, governativa o sociale, è tale da rendere impossibile la vita della legalità».

In quanto scrittore, Ferdinando Pessoa sfida le convenzioni e marcia sulla via della contraddizione senza contraddittorio, si definiva «un individualista assoluto, un uomo libero e liberale. Ciò fa sì che abbia una perfetta tolleranza per le idee degli altri». Voteremmo, oggi, Pessoa, l'uomo che ha tratto dalle proprie inquietudini un progetto politico e polemico? A me pare corroborante la metallica ferocia con cui Pessoa guarda alla politica europea. E non posso che amarlo quando propone di sostituire l'«imperialismo dei grammatici» e dei burocrati con quello dei poeti. D'altronde, «L'imperialismo dei poeti dura e domina; quello dei politici passa e si dimentica, se non è ricordato da un poeta che lo canti. Diciamo Cromwell fece, Milton disse. E quando, in un termine remoto, non esisterà più l'Inghilterra (perché l'Inghilterra non ha la proprietà di essere eterna), Cromwell sarà ricordato perché Milton si riferisce a lui in un sonetto».

Il poeta non giustifica la politica e non soggiace al politico vince.

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