Spocchia e sussiego non pagano Anche a «le Monde»

Caro Granzotto, il tabernacolo della stampa libera, indipendente e influente, il modello di giornale al quale chi, prima o dopo, ha cercato di uniformarsi ha chiuso metaforicamente i battenti. Mi riferisco a Le Monde, autogestito dalla redazione che se non sbaglio detiene anche una quota del pacchetto azionario ma che ha dovuto sottostare ai voleri della cordata che ne è diventata proprietaria, salvando in tal modo il quotidiano più «autorevole» al mondo dal fallimento. Primo provvedimento dei nuovi proprietari un atto di lesa maestà: il siluramento del direttore Eric Fottorino. C’è da trarre una morale da questa vicenda?

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Bé, sì la vicenda di Le Monde insegna almeno un paio di cose. La prima è che spocchia e sussiego non pagano. Il secondo insegnamento è antico come il mondo e riferito alla stampa suona così: puoi ingannare una parte di lettori all’infinito, puoi ingannare tutti i tuoi lettori per un certo tempo, ma non puoi ingannare tutti i tuoi lettori per sempre. E quando li perdi, i lettori, puoi avere tutta la puzza sotto al naso che vuoi, ma devi andare il giro col cappello in mano sperando che qualcuno metta i soldi necessari per non ritrovarti da un giorno all’altro disoccupato. A proposito di spocchia ora le racconto di una rara volta in cui un redattore di Le Monde dovette suo malgrado abbassare la cresta. Era il marzo del 1980 e il presidente Giscard d’Estaign stava compiendo un viaggio ufficiale in Medio Oriente. Il corteggio volante era così concepito: aereo della presidenza, aereo dell’intendenza e aereo della stampa, sulla quale era imbarcato anche un drappello italiano, del quale facevo parte. Giscard non lo vedevamo mai, se non nel corso nella quotidiana e cerimoniosa conferenza stampa: un muro di agenti ci divideva sempre dal nume ma una sera ad Abu Dhabi, per un errore del funzionario addetto allo smistamento del traffico (che credo sia stato, per il fallo commesso, decapitato in loco), i giornalisti che sfollavano da un ristorante e Giscard che stava recandosi nei suoi appartamenti si trovarono a fronteggiarsi. Giscard non poté fare dietro front. Un presidente francese non scappa. Noi, felici dell’occasione per scambiare due parole informali col nume, restammo ovviamente a piè fermo anche se l’inviato di Le Monde che ovviamente si era eletto a capobranco, seguitava a invitarci a sloggiare. Quand’ecco che dopo averci scrutati Giscard si diresse dalla nostra parte. L’inviato del Monde, già in prima fila, accennò a tendergli la mano, ma il presidente lo scartò puntando deciso, fra i trenta-quaranta che eravamo, su un collega italiano. Spero che non se la prenderà se faccio il suo nome, lui cultore della riservatezza e dell’understatement: Jas Gawronsky. Al capobranco gli prese un colpo: un italiano? Quando c’erano sette francesi, quando c’era lui, prima firma di Le Monde? Ma questo è niente: «Come va mon cher Gawronsky», fece Giscard, «ho saputo che lascerà Parigi per fare il corrispondente a Mosca... Che peccato, dovremo dire addio alle simpatiche cene a Rue de Rivoli» (dove Jas abitava). Jas allargò le braccia: «È il nostro mestiere, monsieur le president, ma avremo certo occasione di vederci ancora, a Parigi o a Mosca, se le capiterà di andarci». A questo punto il capobranco quasi svenne, essendogli intollerabile l’intimità - addirittura le cenette! - mostrata a Gavronsky, un italiano, da monsieur le president. Poi venne il bello: «Monsieur Gawronsky, perché domani non salite sull’aereo presidenziale? Mi farebbe piacere stare un po’ con voi...» aggiunse Giscard facendo un cenno al capo della sicurezza perché prendesse nota. Quindi salutò (Jas e solo Jas) girò i tacchi e scomparve alla vista.

L’invito a salire sull’inavvicinabile, inaccessibile aereo di Giscard fu il colpo di grazia per il povero inviato di Le Monde. Se ne restò lì, terreo e muto e lì lo lasciammo a rodersi il fegato andando noi a festeggiare al bar il trionfo italiano sulla boria di Le Monde.
Paolo Granzotto

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