Roma Niente di meglio che veder perdere Bolt. Così questo golden gal resterà nella storia. Anche lui è umano. Justin Gatlin, il bad boy dell'atletica americana, lo ha spiegato al pubblico di Roma e del mondo. Bolt illude e delude il golden gala. Tutti a gustarselo un'ora prima, nel venticello dolce dell'Olimpico, quando sulla solita macchinetta ha fatto show nel giro di pista, cappellino azzurro e maglia dell'Italia indosso, poi è stato spettacolo certo, non proprio secondo consueta sceneggiatura. Perde Bolt e vince il bello dell'atletica: emozioni e credibilità, senso dello show e dell'imprevisto. Sconfitta che toglie nulla al Fenomeno di questo mondo, ma racconta che il tempo passa e Bolt deve correre e lavorare di più per poter essere Superman. Sconfitta non prevista, ma prevedibile fatica dopo il 1009 di un mese fa a Georgetown.
Oltre 50mila a rincorrere emozioni, tifo da ragazzini di scuola, folla di vip, da Armani a Balestra, in tribuna d'onore. Ma poi il silenzio chiesto da Bolt al pubblico, lo sparo e via, meno di dieci secondi ad onorare il Golden gala e il ricordo di Pietro del vento Mennea. Bolt corre settanta metri a modo suo, un razzo in partenza, gli altri più umani, e Gatlin gattone accucciato alle calcagna fino agli ultimi trenta metri, quando Bolt non è stato Bolt ma il cugino meno disumano. Gatlin ha capito, ha tenuto, ha spinto. Per qualche frazione di secondo, Bolt sembrava fermo, non più il fenomenale e disumano Superman della pista. Tanto è bastato per rubargli un centesimo. Gatlin si è sparato sul filo con un 994 che gli restituisce il credo di un campione che si era perso anche nel doping. Bolt ha senato il miglior risultato suo stagionale (995), il francese Vicaut, l'americano Rodgers e l'immortale Kim Kollins dietro di loro. Michael Tumi nelle retrovie con uno sconfortante 1029.
Gatlin finalmente vince una gara contro il re giamaicano: erano 3-0 per Bolt. L'ultima volta se la sono vista alla finale dei giochi di Londra quando i tempi furono lunari con la finale più veloce della storia. Qui siamo solo ad inizio stagione. C'è tempo per mettere il turbo. Ieri ha perso Bolt e vinto Gatlin, ma guardando la corsa dei fotografi, tutti attorno al giamaicano, non c'è storia: che vinca o che perda, conta solo Lui. È la storia, ormai leggenda. Ma c'è qualcosa che non capisce, un tarlo che lo rode nelle dichiarazioni post-gara e in conferenza stampa: «Ho fatto una buona partenza, ho avuto problemi ai 50 metri ma non ho capito cos'è successo - commenta -. Devo lavorare di più, 995 non è male, le mie gambe non hanno ancora energia ma la stagione va avanti. Non ho però capito cosa sia avvenuto. Dovrò rivedermi al video e studiare come migliorare».
C'è rimasta male Alessia Trost e con lei il pubblico dell'Olimpico: affondata al metro e 92. Davanti ai miti, davanti alla Vlasic che le mozzava il respiro e le toglieva lo sguardo, la nostra ragazza è ripiombata sui sacconi con qualche errore e ancora tanta esperienza da coltivare. Tutto facile al metro e ottanta e al metro e 84, poi salita dura, passato il metro e 88 solo con l'ultimo salto. Meglio gustarsi la Green top leader per l'estetica ma fuori a 1,95, e con lei Vlasic (saluti a 1,98) e le due signore russe Chicherova e Shikolina che sono salite fra le stelle, a pari merito a 1,98 dopo essersi entrambe arrese a 2,01 con lo stesso numero di salti e di errori.
La nostra disastrata velocità maschile ieri ha offerto un pezzo di bravura arrivando nelle retrovie dei 100 metri delle seconde schiere. Gara vinta dal nero norvegese Ndure (1013). Riparelli, Collio e Cerutti classificati dal sesto in giù. Miglior tempo 1037, sembra preistoria. E in tanto sventolare di grandi atleti il pubblico dell'Olimpico ha riservato il primo occhio, e un meraviglioso applauso, alle ragazze dei 100 metri paraolimpici dove l'Italia si gode una ragazza di 23 anni, e una gamba sola, che somma imprese su imprese: dopo aver vinto il mondiale e l'Olimpiade, ieri ha battuto il record del mondo della sua categoria (1518). Si chiama Martina Caironi, nata 23 anni fa ad Alzano Lombardo, ha il sorriso di chi riesce ad essere felice e tenace anche dopo quell'incidente d'auto del 2007 che l'ha privata della gamba sinistra.
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