"Arbitro, cacci mio padre" Se i figli non ne possono più

Il tennista Tomic non sopportava il genitore che dava ordini dagli spalti. Dagli sportivi agli attori: liberarsi da figure ingombranti è dura per tutti

"Arbitro, cacci mio padre"  Se i figli non ne possono più

Insomma lo sport è il vertice di un problema vecchio come il mondo. In particolare il tennis, dove di padri padroni - soprattutto in campo femminile - è pieno il circuito. Ma in fondo poi basta andare in qualsiasi campetto di periferia per vedere genitori ululanti, soprattutto di sesso maschile, aggrappati alle reti intorno ai campi dove i propri figli rincorrono palloni e le speranze di chi li ha messi al mondo. Lo ha spiegato Andrè Agassi, altra tennis star, nel suo bellissimo libro Open: «Mio padre sognava di essere un campione e ha costretto me ad esserlo. Così alla fine io non posso fare a meno del tennis, anche se in realtà lo odio. Odio il tennis e mio padre».

Sogni, speranze, proiezioni del proprio io, riscatto dei propri fallimenti: il rapporto padre-figlio non è sempre facile, soprattutto quando il figlio non può ancora capire e il padre non ha ancora raggiunto una vera maturità. È lo scontro tra due calamite della stessa polarità e i casi più eclatanti avvengono di solito sotto i riflettori: il cinema è un altro esempio in cui i figli d’arte spesso sono il risultato di rapporti difficili e dove la fuga da responsabilità troppo grandi finisce per disgregare famiglie.

Michael Douglas per anni ha detestato suo padre Kirk, Kiefer Sutherland - il protagonista del serial culto 24 e, oggi, del bellissimo Touch (la serie thriller basata proprio sul rapporto difficile tra un padre vedovo e il figlio autistico) - a lungo non ha rivolto parola a papà Donald. Storie spesso condite da alcol, droga e rancori.

Claudio Risè, nel suo libro Il mestiere di padre, scrive che «l’amore nel rapporto padre-figlio si colora così, fatalmente, di aggressività e di ribellione al padre. È molto duro per entrambi, ma è necessario che accada». Diverso invece è il rapporto tra padri e figlie, dove una latente sensazione di possesso può trasformare l’amore in dominio. Richard Williams che telecomanda l’esistenza delle figlie, Damir Dokic che distrugge il talento di Jelena a colpi di abusi e violenze...

Sono casi limite, ovviamente, di padri-padroni ne è pieno il mondo ma di padri amorevoli ce n’è un universo, padri che si commuovono vedendo i figli che crescono e che capiscono che non si può apparecchiare la vita di un’altra persona. Si può solo stare a fianco, guidando e correggendo, né un passo avanti, né un passo indietro. Poi c’è il tennis, e lì forse è davvero un’altra storia: Bernard Tomic ad esempio alla fine ha perso la partita e chissà come è finita con papà negli spogliatoi. Anche se poi, in realtà, il tempo cambia molte cose e spesso aggiusta i cocci.

Tanto che lo stesso Kiefer Sutherland - che oggi ha un figlio biologico, due figliastri e due figliastre - lo ha capito: «Non ho avuto un rapporto con mio padre fino a 17, 18 anni: lavorava tanto, non c’era mai, è stato più difficile. Ora che faccio lo stesso lavoro lo capisco meglio, ma soprattutto lo capisco meglio da quando sono padre».

Mentre Alessandro Gassman racconta che «tra i 15 e i 18 anni i ragazzi sono bombe ormonali, confusi, ribelli per principio. Ho attraversato un periodo difficile, doloroso e oggi, a posteriori, devo riconoscere che mi ha salvato la severità di mio padre Vittorio».

Al quale ha dedicato il suo primo film da regista Roman e il suo cucciolo, incentrato proprio sul rapporto padre-figlio. E grazie al quale «sono diventato un padre rompiscatole: voglio che mio figlio paghi le tasse e sia responsabile». Chissà che litigate.

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