La miccia l'ha accesa Karapetyan, il «barbone» autore dello splendido sigillo con cui l'Armenia ha dato sapore alla sfida di giovedì sera. Calcia che è un piacere vederlo, ma è anche dotato di un bel fisico: meglio cambiare strada quando capisci che rischia di venirti addosso come un tir. Espulso per doppio giallo, il secondo immeritato, al culmine di un'entrata poco ortodossa su Bonucci, ha spellato vivo il capitano azzurro con un tweet di siffatta ferocia: «Ho grande rispetto per quello che hai raggiunto in carriera ma quello che hai fatto è vergognoso». L'accusa evidente, documentata dalle immagini della tv, è quella di aver simulato un intervento pericoloso, a gomiti aperti. Bonucci, ecco la magagna, è rimasto giù a terra tenendosi le mani sul volto così da convincere l'inesperto arbitro a prendere l'esagerato provvedimento. Il dibattito, dalle nostre parti, è divampato con gli stessi toni con i quali si commenta un rigore mancato. Avere, sotto la casacca azzurra, quella della Juve ha alimentato livore e veleni provenienti tutti da tifosi rivali che hanno firmato sulle bacheche dei social commenti acidissimi. Non deve farci velo la militanza bianconera che non può essere considerata una sorta di peccato originale. Non è la prima volta che Bonucci, con la fascia al braccio, si lascia divorare dal demone che ha dentro. Capitò anche col Milan in quella mischia nell'area del Genoa: fu pescato dal Var ed espulso al volo, secondo procedura. Si disse e scrisse allora, con eloquente pregiudizio: «Non ha capito che non è più protetto dalla Juve!». In Nazionale, un tale comportamento, è più grave perché in ballo c'è da difendere l'onore del tricolore e il buon nome di un calcio che a fatica sta risalendo la china nella quale l'aveva precipitato la sventurata eliminazione dal mondiale. «Speriamo di non fare danni»: conoscendosi meglio di chiunque altro, Bonucci è stato profeta di se stesso a poche ore dal viaggio in Armenia.
Non è il caso di allestire il patibolo e nemmeno di aprire un processo per direttissima. Di sicuro è l'occasione per ripetere a lui e agli azzurri di Mancini che esiste un codice etico non scritto a Coverciano da rispettare in modo rigoroso.
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