Da Carletto a Mourinho. La caduta degli dei maestri della panchina

Ancelotti a rischio, Josè finisce in seconda fascia, Pochettino ed Emery cacciati. È la fine di un'era

Da Carletto a Mourinho. La caduta degli dei maestri della panchina

Non tutti i santoni vengono per nuocere: ogni tanto il calcio se lo dimentica. Ma è altrettanto vero che la caduta degli dei è sport che avvalora l'incrollabile sete di giustizialismo e libertà a cui si aggrappa il mondo del pallone quando proprio non sa come rispondere alla domanda più semplice: perché non vinco? La caduta, e la risalita, degli dei della panchina sta allietando (sì, il verbo è cinico ma realista) il nostro guardar pallone. Ancelotti che trema a Napoli per miserie umane che si riflettono in quelle finanziarie, dopo aver assaggiato l'ammutinamento di una banda di prime donne in Germania; Pochettino ed Emery che sconfiggono tutte le leggende sulla santa pazienza della Premier, che ha mitizzato il magnifico perdente Arsene Wenger: in Inghilterra ci sono stati tre esoneri (anche Javi Garcia dal Watford) in tre mesi, senza dimenticare che Pochettino (172 giorni prima con il Tottenham) ed Emery (Arsenal) sono stati gli ultimi finalisti (sconfitti) di coppa europea.

Guardiola che comincia ad essere sbeffeggiato sui social («ti sei creato l'aura stando sulle spalle di Messi»); Mourinho tornato dopo 11 mesi su una panchina, ma usando prima il cervello poi l'orgoglio: preso uno schiaffo, si ripropone con una pennellata di umiltà; un triste oblio rischia di accompagnare lo stesso Wenger e il pluridecorato Marcello Lippi. Il mondo si rivoluziona o la legge del tempo crea e distrugge? No, bastano un pallone bizzoso, qualche talento annacquato, il piede storto di un centravanti e i riflessi distratti di un portiere.

Ancelotti conosce la legge e il mercato estivo gli avrà fatto intuire quanto sarebbe stato duro il cammino. Oggi è l'unico fra i primi 5 tecnici top italiani degli ultimi 40 anni, con Sacchi, Capello, Trap, Lippi, ad essere ancora in panchina: il tempo non lascia indenni. Il nucleo familiare, che il mister si porta dietro, non sempre è apprezzato all'interno di uno spogliatoio: si tratti di Napoli o di Monaco. L'esonero del Real fu un atto di ingiustizia, quello del Bayern un alto tradimento dei giocatori, la storia di Napoli ha creato crepe sulla sua credibilità gestionale e sull'apprezzata qualità di tecnico: comunque vada, non sarà più l'Ancelotti di un bel tempo che fu.

Ma nulla è perduto per un santone. E Phil Jackson, venerato guru del basket Usa, ha regalato una filosofia per tutti loro mister deificati eppoi abbattuti: «Non abbandonare il cammino, non arrenderti. Rialzati sempre, non importa quanto dura sia la caduta e quanto spesso tu cada. Si tratta solo di quante volte sei disposto a rialzarti per ritentarci». Girata la domanda a Mourinho, lui risponderà di saperne quanto il vecchio Phil sull'arte del cadere e risorgere.

L'ingresso in punta di piedi al Tottenham, quel dire «Sono un uomo di club, tifo per la squadra che alleno» come fosse un Conte qualsiasi, è uno spaccato dell'arte da mestierantecommediante, la trovata del mister-magister che mette una tuta simile ad un saio: voi vedrete un saio, lui vi dirà che si tratta di una corazza. Uno SpecialOne non sarà mai uno SpecialNone. Al massimo un po' meno Special.

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