di Franco Ordine
È stata come una scintilla. Una scintilla capace di appiccare il fuoco e mentre ha ripreso a bruciare il campionato nel rogo sono finiti anche la Juve e la legittimità del suo primato, a pochi giorni dalla sfida-clou con l'Inter. Sarà complicato, molto complicato, disinnescare le polemiche sabato notte. La scintilla in Catania-Juve è rappresentata da quel conciliabolo a tre, una sorta di grande summit, tra arbitro (Gervasoni), arbitro di porta (Rizzoli) e assistente (Maggiani), che ha provocato il primo sfondone (gol di Bergessio regolarissimo, annullato) della domenica bestiale degli arbitri seguito dal secondo, forse più veniale dal punto di vista tecnico: il gol di Vidal «macchiato» dal fuorigioco di Bendtner. A Firenze si è verificato l'altro sesquipedale errore, commesso dall'assistente di Bergonzi, Iannello, che ha tolto alla Lazio il gol buono di Mauri, emulo del collega Nicoletti, assistente di Mazzoleni in Milan-Genoa (via libera ad Abate sul gol rossonero di El Shaarawy). A questo punto solo l'intervento della protezione civile (qui intesa come Abete, il presidente federale), può mettere in salvo la strana coppia di designatori, Braschi in panchina e Nicchi in tribuna. La loro sbrindellata gestione ha mandato in tilt una recentissima riforma, decisa dal calcio italiano nella speranza, vana purtroppo, di limitare le sviste: e cioè la presenza dell'arbitro di porta. Dalle nostre parti, invece che un provvidenziale aiutino, è diventato l'ennesimo handicap. Gervasoni, arbitro mediocre, inadatto a dirigere Catania-Juventus, si è lasciato condizionare dalla personalità del suo «addizionale», così chiamano l'arbitro di porta questi dannati, Rizzoli che è il numero uno della categoria. Lo sciagurato, Rizzoli, ha insinuato il dubbio di un tocco in più, Maggiani, l'assistente, si è lasciato convincere ed ha spinto Gervasoni a fare marcia indietro. «Capisco Pulvirenti, c'è stato un errore, lo sbaglio è di Maggiani, uno solitamente bravo ed esperto» l'intervento di Braschi, a stretto giro di lancio di agenzia. Ha tenuto al riparo il fischietto più famoso (forse sotto sotto già designato per la sfida di Torino) indicando al pubblico ludibrio l'assistente Maggiani che si può lasciare a casa senza contraccolpi. È il trionfo dell'ipocrisia pratica e utilitaria, come la definì ai tempi Indro Montanelli. Rizzoli ha una carriera colma di alti e bassi. A Udine si fece prendere a parolacce da Totti, altre volte è risultato intransigente: è stato a volte don Rodrigo e a volte don Abbondio. A Catania è andato oltre il suo compito (intervenendo su un fuorigioco), a San Siro, durante il derby, non aiutò Valeri sul gol, validissimo, tolto a Montolivo. Anche a Firenze l'arbitro Bergonzi ha avuto bisogno dell'assistenza di quarto uomo o arbitro di porta per ammonire (primo giallo) Ledesma, dopo il fallo di mano dell'argentino avvenuto sotto i suoi occhi. Ma si può? Ecco allora che questo secondo episodio può confermare l'anomalia tutta italiana, cioè il pessimo utilizzo della risorsa dell'arbitro di porta. Conseguenza di un assortimento sbagliato delle squadre designate da Braschi (e Nicchi). Già perché un arbitro come Gervasoni, al quinto anno di serie A, non può che pendere dalla labbra del suo collega più esperto. E invece c'è bisogno di un designatore che riesca a disciplinare bene i compiti: l'arbitro è quello che decide, gli altri possono e devono collaborare ma senza trasformarsi in arbitri di sostegno. Magari col rischio di provocare errori che finiscono con l'incendiare il campionato.
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