«Continuiamo la crescita Elettrico ok per la città»

Il manager: «Focalizzati sui giovani e sulla mobilità in evoluzione. Il diesel non morirà»

Pierluigi Bonora

Ginevra Thomas A. Schmid è da tre anni il coo di Hyundai Europe. Anche il manager austriaco è alla prese con i rapidi cambiamenti all'interno del settore, tra nuove e più severe regole da osservare, motori alternativi, crisi del diesel e guida autonoma. Hyundai e la controllata Kia sono da alcuni anni protagoniste di una forte crescita sul mercato europeo, grazie ai nuovi modelli, a una gamma completa, alla svolta nel design e al rapporto qualità-prezzo Nei primi due mesi del 2018, la coreana Hyundai ha venduto, in Europa, il 10,8% in più rispetto al 2017 (+5,6% per Kia). «Da parte mia - afferma Schmid - voglio continuare a garantire questa crescita, focalizzando l'attenzione sul cliente e offrendo un prodotto adatto alle sue esigenze».

Come giudica il rapporto tra i giovani e l'auto?

«Il giovane di adesso non è più così interessato alla mobilità individuale, compra meno auto e non sempre ha la patente. Perciò noi, come industria, dobbiamo trovare l'approccio giusto per capire i più giovani, cioè i clienti del futuro».

Al recente Salone di Ginevra avete presentato la Kona elettrica. Il suo punto di vista su elettrico e ibrido.

«Credo in entrambe le soluzioni. Per le aree urbane i veicoli elettrici sarebbero la soluzione migliore. Per chi vive fuori dalle grandi città le auto ibride hanno un enorme vantaggio, perché il loro utilizzo è uguale, ma la distanza da percorrere è molto più lunga».

E poi c'è la nuova Nexo, crossover con tecnologia a fuel cell. Rispunta l'idrogeno.

«Con Hyundai Nexo si possono percorrere quasi 800 chilometri. Questo significa che per la mobilità, in futuro, avremo diversi tipi di gruppi propulsori, in base alle esigenze dei clienti, alle condizioni del sistema di tassazione locale, eccetera».

Auto di proprietà sì, auto di proprietà no.

«Nelle zone rurali si sentirà ancora la necessità di possedere un'auto per potersi muovere. Nelle città, invece, è più probabile che si sviluppi una sorta di car sharing o di sistemi analoghi, come il trasporto pubblico e le combinazioni miste, il trasporto individuale in cui paghi una tariffa e hai un uso completo del veicolo. Dai canali di vendita capiremo cosa ci aspetta per il futuro».

Il diesel, intanto, sembra avere il destino segnato.

«Il suo futuro dipende dai singoli Paesi. Voi, in Italia, non state avendo un forte impatto dal calo della domanda per questo motore, al contrario di altri Stati dell'Ue. Intanto, il valore residuo delle auto a gasolio sta scendendo e rivendere l'usato comincia a essere complicato. Penso che il diesel non sia destinato a scomparire, ma la sua importanza gradualmente diminuirà: si prevede per il 2020/2025 un calo del 40%, mentre la quota delle elettriche salirà al 25% per essere in regola con le normative green. Ma fino a che i governi non saranno disposti a investire in nuove infrastrutture e legiferare in proposito, sarà duro convincere la gente a passare all'auto elettrica o a quella ibrida».

Intanto, Fca guarda sempre con interesse alle vostre tecnologie sull'idrogeno.

«L'ad di Fca, Sergio Marchionne, è bravo a fare dichiarazioni in pubblico, ma in realtà dietro a ciò non ci sono ancora stati discorsi effettivi. È però vero che occorrono collaborazioni allo scopo di abbattere i costi delle nuove tecnologie».

I vostri programmi produttivi in Europa?

«Il 90% delle nostre auto proviene dagli impianti in Repubblica Ceca e Turchia. E circa il 10% dalla Corea».

Ci sono in vista nuove fabbriche?

«Stiamo considerando di aumentare la produzione di veicoli nella Repubblica Ceca».

In passato ci sono stato screzi tra Europa e Corea.

«Corea ed Europa hanno firmato un Trattato di libero commercio otto anni fa e, da sette, stiamo riducendo i dazi. Nel 2017 eravamo quasi a zero. Il commercio tra queste realtà va bene, e l'Europa esporta in Corea del Sud più di quanto importi da quel Paese».

E la guerra commerciale scatenata da Donald Trump?

«Porto l'esempio di uno dei predecessori di Trump alla Casa Bianca, cioè di George W. Bush. Fu costretto a tornare sui propri passi perché in due mesi si erano persi, negli Stati Uniti, 10.000 posti di lavoro. Questo potrebbe accadere ancora».

Sia sincero: è più bravo lei o il suo pari grado di Kia?

«Michael Cole è inglese e io austriaco. È molto diverse sono anche le strutture delle due Case. Posso solo dire che entrambi siamo degli eccellenti manager, consci del nostro compito. E abbiamo la stessa fretta di crescere».

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