Russia 2018

Così vicini, così lontani Brasile contro Messico un classico non scontato

Neymar già battuto nella finale olimpica 2012 e il pari mondiale nel 2014: tricolor da sorpresa

Così vicini, così lontani Brasile contro Messico un classico non scontato

Si fa presto a dire Sudamerica. Si fa presto e spesso si sbaglia: ad esempio quando si parla di Messico, nazione nordamericana e contemporaneamente espressione massima - se non altro per popolazione - del mondo latino di lingua spagnola, porta verso il sud che le inflessioni dell'idioma le conosce tutte. Ad eccezione della enorme fetta chiamata Brasile. Appunto: le avversarie di oggi negli ottavi dei Mondiali, lontane anche per confederazione di appartenenza ma avversarie periodiche, a vari livelli. Quaranta i precedenti tra le due, tra amichevoli, Copa America (a cui il Messico è invitato dal 1993, abitudine che si interromperà l'anno prossimo proprio nell'edizione brasiliana), Coppa del Mondo (tre vittorie verdeoro, un pareggio), Confederations Cup e la sfida più celebre dei tempi recenti, la finale olimpica del 2012 a Wembley: 2-1 Messico, doppietta di Oribe Peralta, che con Héctor Herrera e Marco Fabian potrebbe ritrovare stasera Thiago Silva e Neymar, avversari già in quella partita.

Incroci costanti tra due mondi e due scuole calcistiche diverse per molti motivi: atletici, tecnici, fisici e orografici, se si pensa all'altitudine in cui crescono e giocano moltissimi talenti messicani. Il jogo bonito brasiliano non ha un corrispettivo negli avversari di stasera, la cui scuola tattica non è peraltro definibile in modo chiaro, forse perché - come sostiene Nabani Vera Tenorio, studioso di antropologia e calcio - non esiste, non ha cioé caratteristiche chiare. Il calcio locale esprime infatti una lega competitiva e aggressiva, ma di quella grinta più tignosa e bisbetica che fisica, e a livello internazionale a volte si paga la disabitudine a certi scontri: anche per questo il Messico è la squadra che ha disputato più partite ai Mondiali (56) senza mai vincerli.

Tornando agli incroci tra le due nazioni, nella rosa attuale ci sono Giovani e Jonathan Dos Santos che come racconta il cognome sono di origine brasiliana, cioé figli di Gerardo Dos Santos ovvero Zizinho, centrocampista del 1962, una brevissima carriera in patria prima di trasferirsi in Messico nel 1982 e rimanerci, dopo avere sposato una ragazza del luogo. Giovani, con Héctor Moreno e Carlos Vela, fu una colonna dell'Under 17 che nella finale dei Mondiali del 2005, in Perù, battè 3-0 il Brasile in cui giocava (fu espulso al 92') Marcelo, potenziale avversario questa sera, e insomma tra Olimpiadi, Under 17 e lo 0-0 dei Mondiali di quattro anni fa ci sono curiose mescolanze che mettono alcuni giocatori di fronte a un recente passato non necessariamente favorevole alla squadra di Tite.

Brasiliano (di Rio) è anche uno degli allenatori più famosi del calcio messicano, Ricardo Ferretti, 64 anni, artefice dei recenti successi dei Tigres e tecnico della nazionale per quattro partite nel 2015, dopo il licenziamento del colorito Miguel Herrera: nonostante la grande carriera in panchina, il Tuca resta per molti famoso soprattutto per il gol su punizione (il Tucazo) che nel 1991 diede ai Pumas il titolo nella finale-derby contro l'America allo Stadio Universitario, l'ex stadio olimpico del 1968. E in fondo, nel suo peregrinare, l'attuale coach del Tri, il colombiano Juan Carlos Osorio, ha diretto per una stagione (2015) anche un club brasiliano di spessore, il San Paolo.

Per essere lontani su molti livelli, due mondi calcistici molto, molto vicini, insomma.

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