La Dea l'ha messo a nudo: è solo un povero Diavolo

La Dea l'ha messo a nudo: è solo un povero Diavolo

L'Atalanta ha chiuso un anno magico da incorniciare (terzo posto, qualificazione agli ottavi in Champions) con un'impresa epica che farà gonfiare il petto a tutta Bergamo. Stritolato e umiliato il Milan di Boban e Maldini, messo sotto, nel risultato e nel gioco, come poche volte è successo a memoria di almanacco (precedente 0 a 5 nel '98 contro la Roma, rovescio che costò la panchina a Fabio Capello). Il Milan ha chiuso il suo semestre orribile chè Gattuso a giugno è arrivato a 1 punto dalla Champions nel maggio passato - con una sconfitta che macchia lo storico blasone e mette in discussione per la seconda volta consecutiva la capacità di azionisti e management arrivati dopo il trentennio berlusconiano a dirigere il club. L'Atalanta è stata una macchina da guerra, dominando in lungo e in largo, sbavando qualche gol di troppo prima di regalarsi la splendida cinquina. Ha sfondato a sinistra, dalla parte del pallido Conti, e lì ha costruito il dominio tecnico, tattico e tecnico. «Questa è una squadra che si rigenera» il giudizio lusinghiero di Gasperini che si è tolto lo sfizio di cancellare uno dei pochissimi tabù della sua carriera bergamasca (mai battuto il Milan in casa prima di ieri). Verità assoluta: può anche capitare che inciampi, come a Bologna, ma poi è pronta a divorare chiunque si presenti sulla sua strada.

Pioli ha preparato una sfida impossibile da realizzare immaginando che potesse chiudersi, difendersi e lanciare in contropiede Leao. Perciò in partenza l'ha preferito a Piatek. Perciò è il primo responsabile di questa disfatta che in Spagna titolerebbero una derrota infernal. Si è salvato, come al solito, Gigio Donnarumma uscito in lacrime per qualche insulto di troppo dagli ultrà di Bergamo e forse anche per l'umiliazione subita dal portiere della Nazionale. Senza le sue parate sarebbe finita 8, 9 a 0. Zero in attacco perché non c'è stato mai un tiro come si deve. Una squadra di calcio, di solito, è lo specchio della società. Ieri a Bergamo, il presidente Scaroni è fuggito dalla tribuna alla mezz'ora della ripresa, Boban, Maldini e Massara sono rimasti impietriti dallo spettacolo. Ha detto il tecnico: «Questo risultato è figlio di una settimana sbagliata, inutile chiedere scusa, non siamo questi, Ibra servirebbe». Forse era il caso di accorgersi in anticipo della settimana d'allenamenti sbagliata. Boban è andato dinanzi ai microfoni per ricordare in sostanza che «questa è una squadra giovane» per volontà della società e che sul mercato si faranno le operazioni che «ci permetteranno di fare». Riferimento polemico destinato a due obiettivi: il ffp da un lato e la linea guida di Elliott che non vuole giocatori collaudati ma solo potenziali campioni dei quali, a dire il vero, non c'è alcuna traccia a Milanello se non a eccezione di Theo Hernandez. Boban ha provato anche a difendere il proprio lavoro segnalando che «in sei mesi (il periodo suo come dirigente del Milan, ndr) non si può rifare il Milan di Berlusconi». Verissimo. Ma di questo passo nemmeno in sei anni sarà possibile. Prima di lasciare Bergamo, poi ha scoperto che da Parigi, Leonardo ha imbastito una trattativa per l'acquisto per il Psg del brasiliano Paquetà, costato una fortuna a gennaio scorso. «Non ne so niente, chiedete a loro, chiedete a Leonardo» la sua stizzita risposta per la trattativa passata sopra la sua testa.

«Siamo stati imbarazzanti ma non si può buttare tutto il buono visto negli ultimi due mesi» la frase per difendere Pioli. Sui social, i tifosi, inviperiti, hanno chiesto la testa proprio di Boban e Maldini, due figurine sacre fino a qualche tempo fa.

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