"Inflessibili sul doping ma bisogna cambiare le norme sui controlli"

«Aiutiamo gli atleti giovani, assurdo punire le loro ingenuità. E non parlo di mio figlio...»

"Inflessibili sul doping ma bisogna cambiare le norme sui controlli"

E' un campione, è un presidente, è soprattutto un padre. Forse per questo Giuseppe Abbagnale è l'unica persona che il giorno dopo l'ennesimo caso di doping azzurro riesce a trovare le parole giuste per tornare su questo cancro dello sport. E' facile stonare in questi casi, facile dire quella frase in più che non era il caso neppure di pensare. Invece l'ex due volte campione olimpico del Due con non solo non stona parlando di doping, ma riesce ad offrire una triplice chiave di lettura. Quella dell'ex atleta, quella del capo della Federcanottaggio, quella del padre di un ragazzo che all'Olimpiade doveva esserci e non ci sarà.

Presidente, è una vigilia olimpica tormentata dal doping. Il caso Russia, Schwazer, i casi italiani e ora quest'ultima atleta del beach volley: Viktoria Orsi Toth, positiva al clostebol metabolita. Si è difesa parlando di pomata.

«Io sul doping sono inflessibile. Chi sbaglia deve pagare. Non ci devono essere sconti per nessuno. Però ritengo che sulla lotta al doping sia necessario fare un riflessione. Bisogna trovare un modo per valutare con attenzione quelle situazioni dove è palese non il dolo, ma una dimenticanza, una leggerezza».

Si riferisce a suo figlio Vincenzo, campione del mondo e squalificato in primavera 16 mesi per mancati controlli...

«No, quello è un discorso a parte, appunto dei controlli saltati. Mi riferisco invece a situazioni in cui viene riscontrata una positività, magari minima, e per la quale ci possono essere spiegazioni. Un nostro atleta, Maria Leone Barbaro, è stato squalificato perché trovato positivo a una sostanza contenuta in una pomata...»

La stessa che ha inguaiato la Orsi Toth.

«Per cui le sto facendo un esempio a tema. Nel nostro caso, lo stesso Barbaro aveva preventivamente avvisato l'antidoping di come e perché fosse venuto a contatto con quella sostanza. La famiglia utilizzava una crema per curare le piaghe da decubito della nonna. Quando il ragazzo si è trovato con delle ferite al piede, la madre gli ha applicato la pomata. Il ragazzo, ribadisco, aveva poi subito avvisato l'antidoping. Un'ingenuità. Ecco, queste cose non vanno fatte passare per il doping di cui parliamo solitamente. E due anni di stop mi sembrano davvero troppi».

A maggior ragione i mancati controlli.

«Anche lì. Va bene punire, riprendere, intervenire. Ma con dei limiti. Credetemi, non è da me cercare pretesti o giustificazioni, tanto meno cercare di sminuire i problemi. Il doping va combattuto con forza. Quello che vorrei è però che fossero meno le persone che cadono nella rete dell'antidoping non perché si sono drogate bensì perché hanno pasticciato con i whereabouts e gli appuntamenti per i controlli»

Sono le regole.

«Vero. A volte però si perde di vista un fatto molto semplice: gli atleti, la maggiorparte di essi, sono gente giovane. E sappiamo tutti quanto i giovani, in certi casi, riescano a comportarsi in modo superficiale. Per cui una cosa è barare, un'altra è ritrovarsi squalificati perché il sistema dei controlli non riesce a trovare e fornire ai giovani atleti procedure più semplici».

Lei parla in generale, però è chiara l'allusione alla vicenda che ha portato alla squalifica di suo figlio Vincenzo. E' stata dura anche per lei. Ex campione, padre, presidente federale...

«Sì, fin da quando ero atleta ho sempre lottato per tenere lontano la parola doping dal mio nome. Ricordo bene la voce di Vincenzo quando mi ha chiamato, sapeva quante volte mi ero raccomandato con lui di stare attento alle procedure dei controlli e che una sciocchezza avrebbe potuto mettere a rischio Rio. Dopo la sfuriata, è però venuto fuori il presidente. Da qui la decisione di dare massima trasparenza a tutto e di essere inflessibile...».

E il padre, il padre quando è uscito?

«Un attimo dopo. Quando ho capito che era a pezzi, che sapeva di avermi dato una delusione enorme. Così ho iniziato a consolarlo. Non volevo si sentisse solo, abbandonato».

E adesso Rio. E quelle due barche in più arrivate a sorpresa con l'esclusione dei russi per doping di Stato.

«Peccato solo che la decisione sia stata presa così all'ultimo. I ragazzi avevano già staccato. Vedremo... Ma gli altri equipaggi sono tutti pronti e conto sull'imprevedibilità della loro giovane età.

Però questa Olimpiade per noi del canottaggio sará una battaglia. Ci arriviamo dopo queste vicende del doping (c'è anche il caso di Niccolò Mornati, ndr) e vogliamo dimostrare che il nostro movimento resta pulito, a posto e forte».

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