Spalletti e l'Inter lo sanno meglio di tutti noi: le proteste sul rigore mancato non riescono a nascondere i difetti, i limiti e i ritardi (il cedimento fisico negli ultimi 15 minuti) traditi nell'ennesima sfida domestica scandita da un clamoroso rovescio. Non è nemmeno il primo se si congiungono i due spezzoni di torneo, quello passato (due sconfitte nel finale) e l'attuale (un pareggio col Toro in 180') a dimostrazione che gli affanni in materia di costruzione di gioco offensivo registrano un'inquietante continuità. Forse non è un caso che Ausilio abbia inseguito inutilmente per molte settimane Modric. È vero: è mancato un ariete capace di sfruttare la dose industriale di cross, per una volta precisi (merito di Candreva e Dalbert). Lautaro Martinez è out, Keita non ha le caratteristiche per inventarsi centravanti e Icardi, inserito nella ripresa, ha avuto poche occasioni per lucidare la mira. Conservare nella rosa Eder avrebbe avuto un senso. Più che i gol sporchi, richiesta ossessiva del tecnico di Certaldo, all'Inter sono mancati i blitz dei centrocampisti e magari qualche prodezza balistica dal limite. A Bologna provvide alla bisogna Nainggolan, ieri, al cospetto del Parma che si è difeso alla vecchia maniera, metà-campo allagata e un paio di lame (Gervinho e Inglese), ha solo sfiorato il bersaglio per tacere delle esibizioni di Gagliardini e Brozovic.
Anche Ancelotti ha vissuto un pomeriggio complicato, e non solo per il deserto dello stadio amico. È rimasto inchiodato dalla Fiorentina per lunghi tratti nonostante il cambio di modulo (è passato al 4-4-2) che ha certificato il mantra di molti tecnici: il sistema di gioco non ti fa vincere. Ma allora perché Ancelotti (compreso Sarri che giocava col trequartista) ha modificato il disegno? La risposta è semplice: perché sono diverse le rispettive filosofie di gioco. Uno, scoperto dal calcio inglese, ha sempre cercato di fare gioco attraverso il palleggio ritmato, l'altro - discusso precocemente - è dedito a trovare l'equilibrio tra le due fasi e a rendere redditizio il contributo della panchina, ignorata dal suo predecessore.
Insigne ha risolto con una magia delle sue: mica male da attaccante centrale e non più esiliato a sinistra. Conclusione: la Champions in arrivo più che una festa può diventare una tortura dopo il flop del calcio azzurro.
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