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«Juve tosta. E il Barça non lo sa Ben venga un Milan di italiani»

Meno 3 alla finale Champions. Parla l'ex ct mondiale a Berlino, Marcello Lippi, vincitore dell'ultima coppa bianconera: "Loro più forti, però..."

Marcello Lippi
Marcello Lippi

Caro Marcello Lippi, se le dico Berlino cosa le viene in mente?

«Non c'è bisogno di una grande fantasia perché la notte di Berlino 2006 rimarrà tatuata nella mia testa e in quelle di milioni di italiani per tutta la vita. Berlino vuol dire riassaporare anche solo per qualche istante l'immensa gioia che provammo tutti noi dell'Italia campione del mondo. Lo sa che sono tornato a Berlino in forma privatissima»?

Quando è successo?

«Qualche tempo fa, ero stato invitato al festival del cinema e mi sono preso una pausa, ho chiamato il taxi, mi son fatto portare allo stadio, sono entrato, ho calpestato l'erba per 20 minuti guardandomi intorno e ho preso a fantasticare».

Ha intenzione di volare a Berlino per la finale di sabato?

«No, me la vedrò in tv, quel ricordo deve rimanere unico».

Ci racconta come si comportò il ct dell'Italia per preparare quella finale?

«C'erano componenti del gruppo, non faccio nomi, che passavano notti intere a fumare nei corridoi dell'albergo di Duisburg per la tensione. Allora decisi di organizzare uno scherzo: c'era un laghetto nel nostro hotel e avevo promesso che se fossimo arrivati in finale, l'avrei percorso a nuoto. Mi misi d'accordo con il cuoco, Mario, il quale mi procurò una carpa gigante e al mattino raccontai di una nuotata e con la pesca magica. Qualcuno abboccò, poi ci fu la risata collettiva».

Decisiva fu la scelta dei rigoristi: si prepara prima o si improvvisa all'istante la lista?

«Si può preparare anche prima ma poi capita una sostituzione o un infortunio e devi modificarla. Dipende tutto da quello che raccontano gli occhi dei calciatori. A Roma, contro l'Ajax, tutti mi chiedevano di tirare il rigore e infatti vincemmo anche per quello. A Berlino chiesi chi se la sentiva e alla fine decisi che Grosso avrebbe tirato per ultimo. Io?, fece lui. Sì, gli risposi, tu che sei l'uomo dell'ultimo gol».

Caro Lippi, lei di finali Champions ne ha vissute un bel numero: cosa conta di più, il talento o il coraggio?

«Ne ho disputate 4 in Europa e 1 in Asia. Conta come ci si arriva alla finale. Per esempio: con la Juve perdemmo contro tedeschi e madridisti perché avevamo consumato tante energie fisiche e nervose in campionato lottando fino all'ultimo minuto dell'ultimo turno. Contro l'Ajax invece eravamo fuori dai giochi scudetto e da due mesi pensavamo soltanto alla Champions».

Ha battezzato Allegri suo erede: ce ne spiega le affinità?

«Siamo toscani entrambi, avevo la sua età quando sono arrivato in finale, infine ci uniscono concretezza, metodo di lavoro e la psicologica nello spogliatoio. Ho chiamato Max al telefono e gli ho detto di staccare un giorno, standosene in famiglia. So che ha ascoltato il consiglio».

Il Barcellona 2015 ha qualche parentela con la Francia del 2006?

«È la squadra più forte di tutti i tempi, riveduta e corretta, che domina da 10 anni e che può godere anche dei successi della sua nazionale nell'europeo e nel mondiale. È favorita ma non ha mai incontrato lungo la sua strada una squadra tosta come la Juve».

Ha sentito di Ancelotti: ha deciso di scendere dalla giostra per un anno e ha detto no al suo Milan…

«Lo capisco perfettamente e mi dispiace perché reputo Carlo al momento il miglior allenatore al mondo per saggezza, competenza, esperienza e gestione del gruppo, per simpatia. Ma lo capisco. L'ho fatto anch'io dopo 3 anni di Cina. Mi fermo, aspetto ottobre e se passa una nazionale risalgo. Altrimenti amen».

Scusi ma c'erano voci anche su Lippi al Milan…

«Non so se abbiano davvero pensato a me ma non farò più l'allenatore di un club. E non per il Milan. Neanche se arrivasse il Real Madrid cambierei idea».

Berlusconi vuole preparare un Milan di tutti italiani: che ne pensa?

«È un progetto che mi esalta perché a vedere certe squadre, non faccio nomi, piene di stranieri, senza nemmeno un italiano, mi passava la poesia del calcio. Spesso gli stranieri sono così fuori dalla realtà che non sanno nemmeno contro chi giocano la settimana dopo. Invece coltivare il senso di appartenenza è un segreto per formare squadre forti. Prendete la Juve: ha 7-8 italiani che sono la sua spina dorsale, è la sua forza. Dovesse realizzarlo Berlusconi sarebbe un bene per il calcio italiano».

A proposito di Milan e di Berlusconi: ma è vero che il Milan è così popolare in Cina?

«Certo e sono rimasto sorpreso anch'io perché immaginavo un paese tutto sintonizzato sul calcio inglese.

Invece sui cento canali tv impazzano le cronache del calcio italiano».

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