Lauda, il Computer dalle mille vite

Niki, 70 anni in lotta per la sopravvivenza: dal rogo al rene, al polmone

Lauda, il Computer dalle mille vite

Mani in tasca, jeans slavati di una taglia più grande, cintura allentata a spingerli sempre più giù sull'orlo del precipizio neanche lui fosse un rapper diciottenne, oggi che ne compie settanta di anni. Felpa larga se fa freddo, camicia se fa caldo, mezza fuori e mezza dentro, non male la fantasia boscaiola a quadrettoni. E l'immancabile cappellino. Generalmente rosso. Questione di sponsor.

Niki Lauda, l'uomo dalle mille vite, dalle mille rinascite, dalle mille porte sbattute in faccia ai potenti e al destino va da sempre in giro vestito così. Slavato e disordinato nella vita quando, rampollo di una famiglia di banchieri viennesi, si era messo in testa di correre e vincere con le auto; slavato e disordinato quando era già campione, «Computer» il soprannome, e da uomo vero aveva rinunciato a un mondiale, Fuji '76, perché pioveva a dirotto ed era pericoloso e l'accordo era questo. Solo che gli altri piloti lo avevano tradito, rimanendo in pista. Slavato e disordinato quando, lui sì, sbattè la porta in faccia a Enzo Ferrari reo di aver subito cercato un suo sostituto dopo l'incidente del Nurburgring. Niki 40 giorni dopo invece tornò, e a Monza commosse il mondo, quarto, con il sottocasco bianco sporco di sangue per le piaghe sul viso. Ma non dimenticò la fretta del Drake. E l'anno dopo vinse il titolo in anticipo e se ne andò senza correre le ultime gare. Slavato e disordinato anche quando decise di lasciare la F1 e poi di tornare, di vincere il titolo con la McLaren turbo e andar via di nuovo mentre fondava, comprava e pilotava aerei e compagnie. Slavato e disordinato persino adesso che per mestiere o dorata pensione fa il presidente onorario della Mercedes F1 più vincente di sempre con nella tasca di quei jeans il 10 per cento del team.

E pensare che l'uomo dalle mille vite non avrebbe dovuto correre in auto «perché non si fa, non si addice» gli dicevano a casa, casa ricca, casa di banchieri viennesi, e lui, per tutta risposta, mollò l'università che non aveva vent'anni, dando un'assicurazione vita come garanzia pur di avere un'auto da corsa. Un casino affascinante la sua vita di allora, come quella di poi e di adesso. Sempre in movimento, sempre slavato e disordinato, sempre a combattere con il destino che si diverte a tormentarlo e stimolarlo.

L'arrivo in Ferrari nel '74, le prime vittorie, il mondiale nel '75, quello del '76 pronto a finirgli in braccio se non fosse che un giorno porco d'estate, il primo agosto, nella pioggia del Nurburgring perde il controllo della sua Rossa ed è dramma, rogo, storia sportiva, un film, «Rush». Fumi assassini nei polmoni che, si capirà poi, gli danneggiano anche altri organi, viso sfigurato e «certo che preferirei correre oggi» ci dirà una vita dopo. «Perché guadagnerei molti più soldi e avrei ancora le mie orecchie...». Nel casino della sua vita avventurosa due mogli, cinque figli e alcune persone a cui deve tutto. Come Arturo Merzario a cui tolse il posto in Ferrari e che in cambio lo tirò fuori dal rogo. Leggenda vuole che tempo dopo gli disse solo «ah, Arturo, a proposito, grazie», regalandogli un Rolex. Come suo fratello Florian a cui telefonò nel 1997 con i reni andati a causa dei fumi inalati nel '76, e «scusa caro, avrei bisogno del tuo rene...», la frase avvolta tra verità e leggenda. Come sua moglie Birgit quando, nel 2005, si rese di nuovo necessario il trapianto di rene e glielo donò.

E

adesso la convalescenza dopo il trapianto di polmone della scorsa estate. «Sta lottando come un leone e vedrete che tornerà» dice suo figlio Mathias. C'è da contarci. Jeans, felpa, camicia fuori dai pantaloni. E mani in tasca.

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