La magia può anche essere un'illusione. Magica la notte di Cristiano Ronaldo, illusa la sera di Zlatan Ibrahimovic. Storie parallele che, improvvisamente ma nemmeno così tanto, si dividono, andando in direzioni opposte.
Madrid si ubriaca dei gol del suo fenomeno portoghese, Parigi non vale più una messa e un ingaggio per il suo campione svedese, ancora una volta mandato giù dalla giostra europea. La Liga è una cosa seria, la champions lo conferma dando respiro alle tre grandi di Spagna, Barcellona, Real, Atletico. La Ligue è un torneo amichevole, là dove al Paris Saint Germain è permesso di stravincere con due mesi di anticipo e un tot di punti di vantaggio su chi gli sta dietro, a prescindere. Ibra vince mille titoli nazionali ma oltre la frontiera il suo passaporto non è valido, si deve mettere in coda e, alla fine, il timbro dice respinto.
Cristiano Ronaldo era speciale a Manchester e lo è a Madrid, sempre, uguale e migliore, vincente, superbo, arrogante ma campione, discusso e indiscutibile. Tre gol in una partita non sono una notizia clamorosa per lui, lo sono diventati perché portano il Real Madrid in semifinale a alle casse del club di Perez 8 milioni e mezzo in una volta sola, un bingo che può riuscire soltanto a un fenomeno. Ibrahimovic resta un viaggiatore benestante, ha classe e stile, potenza e astuzia ma l'Europa è una missione impossibile, lo era stata con Juventus, Inter, Milan, Barcellona e oggi nemmeno con il club degli emiri. Non bastano i denari, serve altro, anche la fortuna, anche il gioco dei fluidi e delle stelle. Ronaldo di questo gode, riuscirebbe a far diventare Cristiano anche un ateo, perché il football è anche fede e chi non può credere a questo fuoriclasse? Eppure al Bernabeu hanno avuto il coraggio di fischiarlo, perché quando si è abituati alle brioches è difficile, per un giorno anche per una partita sola, accontentarsi di un tozzo di pane nero. Ronaldo e Messi, maledetta la Spagna che ha questi due giocattoli con la quale si può divertire eccome se si diverte mentre altrove si risica e si rosica, alla ricerca dei campioni perduti. Cristiano Ronaldo ha segnato finora 482 gol in 665 presenze, se mi limito al Real Madrid le cifre sono pazzesche: 342 presenze e 359 gol.
È un calciatore senza limiti, è motivatore ma di se stesso, celebra il proprio gol come se fosse sempre l'ultimo ma non festeggia con uguale orgoglio e follia il colpo di un suo compagno, è un tennista al servizio del football, un individualista che fa giocare il collettivo, è una macchina, è decisivo, sempre, è velocissimo di gamba e lesto di cervello, ha l'eleganza di un torero e la perfidia di un cow boy con la colt allultimo duello, non ha la tecnica di Cruyff o Maradona, di Platini o Messi ma fa quello che vuole e deve fare per vincere, da solo; ha la postura del giovane Elvis Presley, per la brillantina che gli lucida i capelli nerissimi e il suo ego spropositato, ha il fisico di bronzo e la strafottenza di un artista maledetto, circondato da femmine e adulatori. È l'unico, di questo Real, a poter trovare posto da titolare nel Madrid leggendario che fu di Di Stefano e Puskas. L'unico prima di Ronaldo, che, fino a ieri, veniva individuato come «quello vero» ma il fenomeno brasiliano non fu capace, pur nella sua grandiosa esperienza, di combinare quello che quello meno «verdadero» sta facendo, per il Real, per il Bernabeu, per la storia del football.
C'è una frase di Fernando Pessoa, scrittore portoghese, nel libro Il banchiere anarchico, che riassume il calciatore Ronaldo: «Io faccio il mio dovere verso il futuro, che il futuro faccia il suo dovere verso di me». Ecco, il futuro per Cristiano è il gol. Non altro.
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