Ha giocato sei anni a Torino, vincendo tutto quello che si poteva vincere, e sei anni a Firenze, vivendo lo spettro di una retrocessione e di un fallimento, ma riportando in Serie A la squadra viola da capitano. Angelo Di Livio oggi fa l'osservatore per la Nazionale del Ct Prandelli.
C'è qualche Juventus-Fiorentina, giocata da ex, che ricorda in modo particolare?
«Un 3-3 del gennaio 2001 a Torino. Fu una partita bellissima. Giocavo nella Fiorentina e vincevamo 2-1, poi andammo sotto 3-2 e alla fine Chiesa fece il 3-3. Mi ricordo che tornato negli spogliatoi ero contento: mi ero proprio divertito a giocarla».
Non deve essere facile, vista la rivalità, passare da Torino a Firenze?
«Mi sono sempre comportato da professionista e per me è stato semplice. Per i tifosi viola Fiorentina-Juve è la partita dell'anno: la preparano da settimane e vogliono che i loro giocatori la interpretino nel migliore dei modi. A me la città toscana non ha mai fatto pesare il passato bianconero, forse perché in campo ho sempre dato tutto».
Forse perché lei, come hanno fatto qualche hanno dopo i vari Del Piero, Buffon, Nedved con la Juve, ha accettato di scendere di categoria pur di far tornare grande la Viola?
«Mi sentivo in dovere con città e tifosi. La retrocessione era stata troppo dolorosa e allora mi sono detto: Non lascio questa squadra fino a quando non l'ho riportata nella categoria che le compete».
Lei è un'eccezione: amato a Firenze, adorato dai bianconeri. Si aspettava di essere nominato uno dei 50 giocatori che hanno fatto la storia della Juventus (Di Livio è infatti una delle 50 stelle del nuovo Juventus Stadium)?
«Per me è stato un onore. Quando nel 1999 venni ceduto ci rimasi male, perché inizialmente non volevo lasciare la Juve. Ma sono sempre stato legatissimo al club bianconero. Con quella Juve ho vinto tanto e a Torino ho trascorso anni magnifici».
Passiamo al presente, due suoi ex colleghi e amici, Conte e Montella, sono considerati tra i tecnici più importanti d'Italia?
«Antonio è un vincente e ha già dimostrato il suo grande valore. Vincere due volte in B e lo Scudetto in A al primo tentativo non è da tutti. Vincenzo gioca un gran bel calcio: a Catania e a Firenze ha fatto capire di avere idee e futuro. Sono due grandi allenatori».
Cosa consiglierebbe a Jovetic? Osannato a Firenze, ma nel mirino della Juventus
«Jovetic è un grande talento. Saprà decidere da solo, anche perché è un ragazzo intelligente. Posso dire solamente che è un giocatore che sposta gli equilibri».
Nel suo ultimo anno in viola giocava con lei un certo Giorgio Chiellini: si aspettava che diventasse un difensore così forte?
«Sinceramente no, non credevo avesse una tale carriera. Giorgio mi ha stupito. A Firenze faceva l'esterno sinistro, ma da centrale è cresciuto tantissimo. Ora nel suo ruolo è tra i migliori al mondo».
Visto che fa l'osservatore per la Nazionale, ci indica un paio di giovani che l'hanno stupita in questo
«Senza citare gli italiani che conosciamo tutti, da Verratti a Insigne, dico due 1994: Niang del Milan e Marquinhos della Roma. Per personalità e tecnica mi sbilancio: questi diventano due campioni».
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