Maradona o Messi? Se il più forte lo chiami per nome

El Pibe è per tutti Diego. Alla Pulce non basta Leo Anche questo fa la differenza tra un dio e un umano

Maradona o Messi? Se il più forte lo chiami per nome

Maradona è megl'e Pelé . Questo lo sapevamo grazie a Bruno Lanza che inventò parole e musica della canzoncina. Cercasi un nuovo autore per Maradona è megl'e Mess i, perché questo è il quiz del secolo. Lo ha proposto lo stesso Diego Armando: «Messi ha segnato più di me? Ma i miei gol erano più belli», guardandosi allo specchio del reame pallonaro.

I due hanno in comune il Paese di origine, la maglia dell'Argentina e del Barcellona ma restano distanti come il sud America diviso dal continente vecchio. Diego appartiene alla tribù unica di coloro, attori, calciatori, uomini di spettacolo e di arte, i quali hanno segnato la propria epoca e lasciato memoria soltanto con il proprio nome di battesimo. Dunque se dici e scrivi Diego, Diego è lui, soltanto lui, come Michel, come Johann o Pelé o Alfredo, Lothar, Kalle, Justo e, ancora, Gino e Fausto nel ciclismo, Ayrton nell'automobilismo, Valentino nel motociclismo, Giotto, Raffaello, Leonardo Michelangelo, Rembrandt nell'arte pittorica, Frank, Elvis, John, Paul, Madonna nella musica leggera.

Il cognome identifica gli altri, i terrestri e Messi abbisogna di Lionel perché se a questo ci limitassimo potrebbe confondersi con omonimi, come il Sanchez cileno e maledetto del mondiale 1962 o il genio del jazz Hampton o della canzone Richie. Dunque Diego è Maradona e basta, da prendere a occhi chiusi con tutto il bagaglio, anche cattivo, che si porta appresso dalla nascita «el primer sueno es jugar en el mundal, el secundo salir campeon». Così sognava, così ha voluto e saputo realizzare il desiderio che, invece, è ancora nascosto in fondo al cassetto di Messi che vive con l'ombra addosso del "campeon". Selvaggio, sanguigno, immediato, fragile, il primo; professionista, solitario, silenzioso, il secondo. I gol sono mille, tutti diversi e uguali, rubati, quelli di Diego Armando, con l'arte del prestipedatore, dribblando tutti i sudditi della regina Elisabetta e poi, anche con l'aiuto della mano de Dios , contro l'Inghilterra, poi replicati dalla "pulce" con uno slalom di sessanta metri tra le gambe di quelli del Getafe e con un tocco losco contro l'Espanol, memorabili e collocati (stavo scrivendo "messi") nel museo virtuale del pallone.

Maradona è fede, è religione, per qualcuno a Napoli, e a Baires, è Dio in terra. Amato e odiato, per quella sua esistenza aspra e gitana che ne ha tolto, spesso, la luce. Messi è un angelo che sfiora la divinità, celebrato in Europa e appena rispettato nella terra di nascita perché considerato mezzo spagnolo, perché non ha giocato con il River, con il Boca, con il Racing, "rapito" da "nino", con tutta la sua famiglia, dai signori catalani, gli stessi che ricoprirono di fiesta e pesetas Diego prima che il killer basco Andoni Goicoechea non frantumasse il cristallo delle sue caviglie.

Messi non prega la madonna in campo, non piange lacrime di pietà davanti all'arbitro, al massimo vomita. Diego era una fattucchiera, furbastra mai astiosa. Gol da fermo, in corsa, di sinistro, morbido o feroce, luce improvvisa nel tulle di una partita senza storia, Messi è un incantatore di serpenti, suona perfidamente il piffero magico, esalta i compagni, stona gli avversari, i piedi frullano l'aria, di destro o di sinistro, come un mago delle tre carte, ingannando e lasciando straniti chi gli si pari di fronte. Non c'è un gol più bello realizzato da Diego, non c'è il gol più bello segnato da Messi, ogni loro tocco, idea, invenzione non rientra nelle classifiche ordinarie, umane. E poi i gol non si contano, si pesano, come il banchiere Cuccia diceva delle azioni di borsa.

E,

dunque, Diego Armando Maradona e Lionel Messi possono giocare a rincorrersi, nessuno di noi avrà mai la verità, tutti saremo sicuri di conoscerla. Lasciamo a loro il divertimento di guardarsi allo specchio. La fiaba continua.

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