Moratti-Thohir, com'è difficile capirsi

Problemi legali, sulla presidenza e sul modello di business. Scelto un successore che non faccia ombra

Moratti-Thohir, com'è difficile capirsi

L'ultima battuta dice che Erick Thohir è così lento ad arrivare a Milano perché viaggia in Ferrari, magari su gomme Pirelli. Ma l'ormai «è tutto fatto» pronunciato da Moratti e Thohir in tempi e giorni diversi, neppure si fossero messi d'accordo davvero, ha rassicurato la gente interista che al giallo, al thrilling e ai colpi di scena, è abituata da decenni: Moratti li ha educati bene. Ieri ad Appiano la famiglia padrona si è presentata al gran completo per vedere la squadra battere 3-0 il Locarno (Belfodil, Olsen, Samuel): il presidente, la sorella Bedy, il figlio Angelo Mario destinato a tener posto che conta nel futuro Cda: quasi volessero gustarsi l'Inter loro fino all'ultimo minuto. C'erano pure Zanetti, capitano-bandiera in via di guarigione, e Mario Corso emblema di un'Inter ancor immortale. Quadretto di famiglia che forse voleva segnare il gong di una intera epoca. Basterà sciogliere l'ultimo intrigo e tutto cambierà.

L'intrigo Inter oggi è solo una corsa ad azzeccare la data della firma definitiva, che poi basterà attendere il 25 ottobre (al più tardi il 28 in seconda convocazione) data dell'assemblea dei soci per svelare i misteri. In quel giorno Moratti e Thohir avranno ufficialmente firmato l'accordo, magari dovranno riconvocare un'assemblea per eleggere il Cda del futuro nerazzurro e spartire posti e presidenza. Gli inesorabili sventolatori dell'amore morattiano hanno già intravisto tinte fosche nelle parole poco inchinate di Thohir, sbrigativo nel ricordare che se Moratti ci sa fare con giocatori e tecnici, lui porterà aria nuova per quanto riguarda business e incassi. E altrettanto sbrigativo nel derubricare a questione di secondo ordine quella della presidenza: «Vedremo, ne parleremo, mi dirà Moratti cosa vuol fare». Che non significa lo farà lui e nemmeno un invito a sedersi sulla poltrona, piuttosto una smorfia, un moto di sopportazione: se proprio lo vorrà.....

Insomma Thohir non ha gran voglia di vedere Moratti presidente. Più logico che l'indonesiano dal faccione a 28 pollici voglia una vetrina. In tanti lo fanno troppo indaffarato a gestire i suoi business per poter pensare all'Inter in prima persona, ma è difficile che uno spenda 250 milioni e si infili nelle sabbie mobili del calcio italiano solo per far luccicare la stella di Moratti. Oggi si dice che tutto è ridotto ad un problema di traduzioni dei termini legali nelle documentazioni. Però l'intrigo dei tempi lunghi si è snodato attraverso dubbi e obiezioni che Moratti e Thohir si sono proposti un con l'altro: tu comandi, ma io decido. No io comando e decido, tu ci metti l'esperienza. Io compro e non voglio spese folli. No, tu devi rinforzare la squadra. Io compro l'Inter. Certo, ma io difendo i tifosi e il bene dell'Inter e voglio una clausola che mi permetta di aver potere. Io compro, tu avrai una clausola di precedenza per riacquistare la società nel caso io volessi cederla. Un ping pong giocato davvero tra due sponde di mondo, di interessi e di epoca generazionale. Salvo nell'intendersi che il business e business. Eppoi riassunta nell'idea comune: abbiamo una figlia che si chiama Inter.

Tirando le somme, Moratti non se l'è giocata male perchè ha gestito tutto per lasciare il miglior ricordo di se stesso: Thohir non è un arabo riccone, pronto a dispensare centinaia di milioni per comprare giocatori. Ci vorrà poco per farsi rimpiangere, soprattutto se il nuovo padrone non capirà che a Milano il sistema Arsenal (tanti giovani e spendo poco) non potrà funzionare: hanno già visto di più, di meglio e di tutto. Moratti ha sempre messo bandiera e cuore davanti a tutto, Thohir ha già messo il business. E per gli inguaribili romantici.... Moratti non ha mai lasciato spazio ad altre figure ed ha evitato strani intrecci. Thohir si porterà dietro un gruppo di amici e si fiderà delle sue conoscenze italiane. Ma, per esempio, Roberto Regis Milano, vicepresidente di una squadra belga appartenente alla famiglia Bakrie strettamente legata a Thohir, vien ricordato nel cosiddetto gruppo dei genovesi che, nel 1997, trattò con Gian Marco Calleri l'acquisto del Torino.

E oggi nei blog granata si racconta che quel gruppo, capeggiato dall'imprenditore Massimo Vidulich, risulta tra i primi tre peggiori padroni della storia del Torino. Sempre per la storia, in quegli anni Nirvan Bakrie tentò di entrare nel Cda della Sampdoria. Corsi e ri(n)corsi.

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