Tutti in ginocchio per l'omicidio di George Floyd, l'afroamericano ucciso da un poliziotto che l'aveva soffocato schiacciandogli il collo, a partire da Colin Kaepernick, il quarterback nero dei San Francisco 49ers che lanciò questo gesto di protesta e si ritrovò senza contratto dall'anno seguente. Nessuno però si è ricordato di mettersi in ginocchio per stigmatizzare l'assurdo regolamento della stessa Nfl, la lega professionistica del football americano, che solo oggi ha annunciato candidamente di aver cancellato una clausola razziale dei suoi regolamenti, in base alla quale nei casi di traumi cerebrali gli afroamericani ricevevano un risarcimento inferiore perché considerati «meno intelligenti».
Una norma che negli anni aveva effettivamente reso molto difficile agli ex giocatori neri ottenere rimborsi adeguati in caso di demenza, episodi purtroppo frequenti tra gli atleti del football, tanto che questi risarcimenti sono andati a ben 379 ex colpiti da forme gravi e ad altri 207 con sintomi più lievi. La decisione della Nfl è giunta in seguito ad alcuni esposti presentati da ex atleti e ad una raccolta di oltre cinquantamila firme, ma certo stupisce che nel mondo dello sport superprofessionistico vigesse ancora una regola così ignorante.
D'altra parte anche il caso Kaepernick e la reazione della lega, che inizialmente aveva stabilito una multa per le squadre i cui giocatori si fossero inginocchiati, avevano messo il dito nella piaga di uno sport retto evidentemente da una dirigenza quanto meno culturalmente arretrata.
E, dopo aver scoperto la colossale discriminazione che è stata rimossa incredibilmente solo in questi giorni, ci si chiede dove abbiano vissuto tutti i padroni della Nfl dal 1964, l'anno della abolizione della discriminazione razziale e del Nobel a Martin Luther King, ad oggi.
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