"Non vogliamo Pioli...". La rivolta dei tifosi contro Maldini e Boban

Uno ha scelto Giampaolo, l'altro l'ha subìto. E insieme pagano la strana mossa Spalletti

"Non vogliamo Pioli...". La rivolta dei tifosi contro Maldini e Boban

Prima i fatti, separati dalle reazioni violentissime. Ecco le notizie: ieri c'è stato l'esonero di Marco Giampaolo, comunicato di primo mattino all'interessato, con l'esclusione del preparatore Luigi Turci (più Bonera) rimasto a Milanello anche per l'ottimo lavoro svolto con Gigio Donnarumma. Qualche ora dopo è giunta l'assunzione di Stefano Pioli e del suo staff con contratto di quasi due anni, un milione e mezzo netto a stagione, scadenza prevista nel giugno del 2022. Alla fine, le reazioni hanno seppellito le note di cronaca. Ieri è stato, infatti, il giorno della rivolta, clamorosa e rumorosa, del popolo milanista avvilito per la scelta del successore di Giampaolo che ha finito per coinvolgere anche il ticket dei dirigenti responsabili dell'area tecnica, Paolo Maldini e Zvone Boban, cui è toccato vivere un compleanno amarissimo. Agli occhi dei tifosi, Maldini paga la scelta iniziale di Giampaolo, decisione, questa, subita invece dal croato più strutturato come manager dall'esperienza vissuta alla Fifa. Fatto sta, l'hastag Pioliout ha preso il volo in poche ore, collezionando un numero di adesioni da trascinarlo nelle tendenze mondiali di Twitter, seguito in serata dall'affondo in rima della curva sud su Facebook («Troppi anni che questa squadra non è degna dei suoi tifosi. Mille cambi sulla panchina, risultati sempre penosi...», uno dei passaggi più leggeri). Identico il destino vissuto dai due campioni di un tempo, travolti dai veleni del web e dalle censure aspre per la conduzione della trattativa con Spalletti: nessuno sconto per loro che sono al debutto nella guida di una squadra dell'appeal e della storia del Milan e ne stanno pagando un prezzo salato. A fine stagione, saranno entrambi sottoposti alla prima verifica da parte di Elliott che pure non può chiamarsi fuori dalle responsabilità avendo imposto la linea guida del mercato (reclutati giovani di valore, spediti a casa i pochi esperti del gruppo). È l'inesperienza collettiva, il vero limite dell'attuale Milan: il fondo americano non ha mai governato un club di calcio, l'ad Gazidis si è occupato solo di conti all'Arsenal, Maldini e Boban sono al primo incarico, come Giampaolo alla prima panchina nobile. Dinanzi alle prime difficoltà, è crollata la fragile impalcatura costruita a giugno.

«Ogni anno si riparte da zero» è stata la chiosa avvilita di un'altra bandiera del Milan che fu, Demetrio Albertini. Eppure non sono stati solo i tifosi a rendere incandescente l'arrivo di Pioli, chiamato a lavorare subito in un ambiente ostile, con l'etichetta del tappabuchi per via appunto dei contatti resi pubblici con Spalletti, poi rimasto a vendemmiare. Anche l'azionista, favorevole all'arrivo di un allenatore esperto, ha provato nelle ore passate a scoraggiare l'opzione Pioli. Inutilmente, a giudicare dall'esito finale. Pioli è già il terzo allenatore ingaggiato dal fondo Usa in carica da pochi mesi. Il prescelto è vaccinato al ruolo di tappabuchi e a lavorare in un clima di scetticismo, di sfiducia totale per dirla schietta. Avvenne lo stesso all'Inter prima che si puntasse sull'arrivo di Spalletti. A Firenze, dinanzi alla sfiducia pubblica della società, ha avuto il coraggio di piantare in asso la squadra. Potrà lavorare sul sistema di gioco valorizzato da Gattuso, il 4-3-3.

Maldini e Boban hanno chiesto, inutilmente, a Giampaolo di puntare sui nuovi acquisti, in particolare Theo Hernandez e Leao. Pioli è convinto che siano loro, più Paquetà, le risorse.

Il resto dipenderà dall'abilità del tecnico. «Abbiamo bisogno di un allenatore normale» è la voce proveniente da casa Milan. «Giampaolo è capitato nel Milan sbagliato» il commento di un estimatore del tecnico esonerato. Sono le due facce della stessa medaglia.

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