Ventisei mesi e mezzo. È il periodo trascorso dall'ultima vittoria dell'Italia con una nazionale big (il successo agli Europei francesi contro la Spagna, era la Nazionale di Conte). E la rivoluzione di Roberto Mancini - nove giocatori cambiati su undici, unici superstiti Donnarumma e Jorginho - dopo il mezzo flop della gara con la Polonia non interrompe la triste tradizione. La sensazione, dopo i primi passi della Nazionale della rinascita, è che il suo percorso sarà sempre complicato a prescindere dall'avversario. La qualità è minima, il gruppo sta cercando almeno il senso di appartenenza alla maglia azzurra. Oltre che un modulo che le permetta di rendere al meglio.
La vittoria manca all'Italia da undici mesi. Per ora Mancini va per tentativi, in due partite di Nations League ha dato spazio a 23 giocatori su 30 convocati (il giovane Pellegri era tornato subito a casa), considerando tra l'altro che Cragno, Rugani e Zaniolo hanno seguito entrambe le sfide in tribuna. Dove ieri sedeva un Balotelli acciaccato e imbronciato. E il ct ieri a Lisbona ha anche sperimentato qualche modulo diverso dal 4-3-3: per meno di un tempo un 4-4-2 che ha finito per sacrificare il suo uomo più brillante in velocità (Chiesa); con l'ingresso di Berardi, spazio al 4-5-1 che però non riesce a essere incisivo perché troppo prevedibile, e con Belotti addirittura un 4-2-4 evanescente. La squadra ha retto a lungo contro gli avversari, ma è mancato il cambio di passo nella ripresa dopo il gol subìto.
Mancini aveva annunciato il turnover, ma la sua rivoluzione (forse eccessiva, in gare con i tre punti in palio gli esperimenti andrebbero limitati il più possibile pure nel rispetto del dare spazio e minuti internazionali ai giovani) va oltre il fisiologico ricambio di forze in due partite così ravvicinate. Il Ct, al di là delle dichiarazioni di circostanza, non era rimasto soddisfatto dalla gara di Bologna in cui aveva contestato ai suoi i tanti errori in disimpegno. Che non sono mancati anche contro il Portogallo.
Nella squadra di partenza - per la seconda volta nell'era del nuovo ct senza uno juventino in campo - c'è il settimo debuttante dell'era Mancini, quel Lazzari terzo calciatore della Spal a esordire in azzurro dopo il portiere Bugatti e l'attaccante Fontanesi che deve pagare pegno trovandosi di fronte l'insidioso Bruma. Seguirà più avanti anche l'esordio dell'ex romanista Emerson Palmieri. A sorpresa si rivede anche la coppia «ignorante» d'attacco Zaza-Immobile, il tandem titolare del primo periodo dell'era Conte. E se il calciatore del Torino non si fosse fatto male alla vigilia della sfida di andata, sarebbe stata anche quella di Ventura nello spareggio con la Svezia. Immobile indossa la fascia di capitano ma non incide e dopo un'ora lascerà il posto a Berardi: per la punta laziale il gol in azzurro manca ormai da un anno (l'ultimo a Israele il 5 settembre 2017). Zaza, invece, mostra più verve ma non è cattivo quando arriva a concludere.
Il Portogallo, pure orfano di Cristiano Ronaldo, mostra intraprendenza, compattezza e gioco in velocità oltre che un ottimo possesso palla. Le ripartenze mandano spesso in affanno la difesa azzurra e prima del gol decisivo di Andrè Silva (una rete ogni due gare con la nazionale per l'ex attaccante del Milan) c'erano stati i salvataggi di Romagnoli sulla linea di porta e il miracolo di Donnarumma sui tiri di Bernardo Silva, oltre al rischio autogol di Cristante (deviazione sulla traversa).
Di conclusioni azzurre in porta nemmeno l'ombra. Dieci gol nelle ultime 13 gare sono la cartina tornasole del problema principale degli azzurri. La Nations League è già in salita (rischiano la retrocessione in Lega B), come la strada futura della truppa di Mancini.
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