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Palla ferma a centrocampo E Beretta lancia l'allarme

Può un disegno di legge, ritenuto fondamentale da gran parte degli addetti ai lavori, rimanere bloccato in Parlamento per quattro anni e due mesi? La risposta è sì, in Italia è possibile. Il curioso caso dell'ormai famigerata «legge sugli stadi» rappresenta una delle vicende più sconvolgenti legate al nostro calcio. L'atto «disposizioni per favorire la costruzione e la ristrutturazione di impianti sportivi e stadi anche a sostegno della candidatura dell'Italia a manifestazioni sportive di rilievo europeo o internazionale» è stato presentato alla Camera il 6 novembre 2008, con firma bipartisan Pd e Pdl. Dopo approvazioni, discussioni, modifiche, litigi e viaggi da un ramo all'altro del Parlamento, a luglio 2012 sembrava esserci stata una svolta: il testo era stato approvato in sede legislativa dalla commissione Cultura di Montecitorio e doveva tornare al Senato per l'approvazione definitiva. A dicembre il nuovo colpo di scena, con il presidente della Figc Giancarlo Abete che annunciava: «La legge sugli stadi è al palo e salvo miracoli rimarrà solo una proposta. Questa è una storia italiana, da schiaffo del soldato». Tutto fermo, tutto bloccato. Per l'ennesima volta.
Perché è necessaria Le lamentele dei presidenti delle società di A e B e gli appelli pubblici dei vertici federali non si sono fatti attendere. Anche perché questa legge è vista come un piccolo grande spiraglio per rilanciare un movimento in evidente crisi. E con la sua approvazione porterebbe due importanti vantaggi. Il primo di tipo burocratico: imporrebbe ai Comuni di dare il parere sui progetti che vengono presentati entro un anno. Ciò snellirebbe la procedura burocratica e darebbe maggiori certezze, a chi vuole investire, di riuscire a ridurre notevolmente i tempi di realizzazione finale della struttura. Secondo vantaggio, di tipo economico, riguardante le cosiddette "compensazioni". Sarebbe cioè possibile costruire con lo stadio e dentro l'area di competenza ciò che rende economicamente sostenibile l'investimento (dai centri commerciali, ai negozi di merchandising, ai musei). Una soluzione nata dal principio per cui l'impianto utilizzato solo per gli eventi sportivi non sarebbe riuscito a ripagare l'investimento iniziale in tempi accettabili per il mondo dell'impresa. È soprattutto questo secondo aspetto a frenare l'iter legislativo.
Motivazioni del mancato accordo Infatti il principale intoppo, che ha portato a diversi stop in Commissione Cultura, è rappresentato dai vincoli alla aree di costruzione. Una parte del Parlamento considera il testo della legge troppo esposto al pericolo di speculazione edilizia e non vuole rischiare che alcuni progetti vengano bloccati dopo l'inizio dei lavori. Inoltre c'è una querelle che si protrae ad infinitum con il presidente laziale Claudio Lotito, che aveva individuato come zona per la realizzazione del nuovo "Stadio delle Aquile" un'area, quella Tiberina, considerata a rischio idrogeologico.
Dati allarmanti In tutto questo il confronto tra i dati sugli spettatori della Serie A e quelli degli altri principali campionati europei continua ad essere impietoso. Siamo distanti anni luce da Germania, Inghilterra e Spagna, sia come qualità delle strutture, ormai vecchie e arretrate (nel 1990, con i Mondiali, l'ultimo grande rinnovamento generale ndr), che come capacità di portare tifosi in tribuna. Venerdì 15 febbraio erano presenti a San Siro (considerato ancora un'eccellenza europea con capienza di oltre 80mila posti) per Milan-Parma 33.077 spettatori, 24.519 abbonati e 8.558 paganti. D'accordo che i rossoneri non sono in lotta per lo scudetto, ma nemmeno l'acquisto di Balotelli e la rimonta compiuta tra gennaio e febbraio sembrano aver trascinato la gente allo stadio. La comparazione con la Premier League è impietosa: il 17 febbraio a vedere ad Anfield Road Liverpool-Swansea City, con i Reds settimi in classifica, c'erano 44.832 persone, sui 45.362 posti disponibili. In Germania, il Borussia, a prescindere dai risultati, sono 10 anni che chiude la propria media spettatori al Westfalenstadion sopra i 70mila. Basta osservare le statistiche degli ultimi anni per rendersi conto di questo assioma ormai assodato: negli altri principali campionati europei la gente continua ad andare allo stadio, in Italia no. Una triste trend negativo, tutto tricolore, che dipende da un mix di motivazioni, più o meno collegate tra loro: le pay tv, la comodità del divano, ma anche e soprattutto la mancanza di stadi adeguati e rinnovati. Sì, perché l'unica squadra italiana che è riuscita a costruirsi un impianto moderno e accogliente, ora sta già raccogliendo i frutti dello sforzo economico sborsato. La Juventus, da quando lo Stadium è stato inaugurato, in campionato non è mai andata sotto i 35mila spettatori sui 41mila posti a disposizione.
La più chiara dimostrazione che i tifosi, gli appassionati, allo stadio ci andrebbero ancora volentieri.

Ma se quella legge continua a rimanere al palo, non avendo tutte le società le possibilità dell'investimento finanziario effettuato dai bianconeri (lo Stadium è costato 120 mln e, tra acquisizione dell'area e progetti, l'iter per la realizzazione è durato 8 anni), il rischio è che i nostri stadi non si rinnovino mai, allontanando sempre di più l'Italia dall'elíte del calcio europeo.

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