Pelè, la leggenda non ha età. Però è malata

Pelè, la leggenda non ha età. Però è malata

Le sue gambe di marmo e d'oro faticano a trascinare la leggenda. L'immagine di Pelè che cammina con il deambulatore e su questo gioca: «Sono i miei nuovi scarpini da gioco», lascia zucchero amaro sulle nostre labbra. La leggenda ha settantasette anni ma, in verità, Pelè non ha mai avuto un'età, se non quella improvvisa, freschissima, già potente e prepotente, del diciassettenne che segnò nel mondiale svedese portando il suo Brasile alla conquista della coppa, la prima di tre, un altro primato come i 1000 goal, come la storia del Santos, quella americana dei Cosmos, un racconto che è cronaca, poesia, romanzo.

Il mondo del football è frastornato dai milioni, tanti, troppi, facili, fasulli: figure di margine vivono su isole dorate, i rari campioni, due, Messi e Ronaldo, trascorrono un tempo tra la favola e l'indecenza.

Arriva il giorno in cui la polvere di stelle resta bagnata sul terreno, la ferocia dei nostri tempi concede raramente spazio alla memoria e alla riconoscenza. Pelè è oltre tutto questo, anche quando si fa aiutare da quel dispositivo medico, da quel sostegno che gli garantisce equilibrio.

Ronzano voci di malori, malanni e mali ma fanno parte della nostra esistenza, improvvisamente fragile, smascherata. È accaduto con Marcellus, Cassius Clay, un'altra goccia di artista nero in un mondo anche razzista.

Pelè raggruma tifosi di ogni dove anche tra coloro che non lo hanno mai visto giocare ma che hanno ascoltato le narrazioni, hanno visto le immagini, hanno sognato goal fantastici, in un reale video game, e poi anche i film di un uomo che attraversa quattro generazioni e le unisce con lo stesso collante, l'amore, più che il tifo, per lo

sport, per il calcio e per questo interprete, unico, irripetibile, leggendario.

Quel deambulatore sta stretto nelle mani delle nostre madri, dei nostri padri, gente comune, perché Pelè è un uomo comune diventato fenomeno.

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