Coronavirus

"Il rischio zero in campo non esiste"

Le criticità nel calcio secondo il dottor Carlo Federico Perno, professore di Microbiologia: "Sotto sforzo emessa più aria e se è contaminata... Poi docce e ritiri"

"Il rischio zero in campo non esiste"

«Un protocollo sicuro al 100% non c'è, si può solo ridurre al minimo la trasmissione del virus». La Serie A resta inchiodata alla fase uno, un giudizio perentorio dalla scienza arriva dalle parole del dottor Carlo Federico Perno, direttore del Dipartimento di Medicina di laboratorio dell'Ospedale Niguarda e Professore di Microbiologia presso l'Università di Milano. L'apposita commissione Figc sta già studiando nuove linee guida, costrette a convivere con un rischio zero che non può esistere.

Professore, allenarsi in gruppo vuol dire aumentare il pericolo di contagio?

«Durante lo sforzo emettiamo molta più aria, se siamo infettati emettiamo più aria contaminata. Quindi anche a debita distanza le possibilità di infettarsi sono maggiori e chi ci sta vicino è più a rischio. Il virus è molto infettante, gli sport di contatto non sono indicati. La doccia a fine seduta può essere un problema senza spazi adeguati e la clausura in ritiro non estrometterebbe del tutto il virus».

Come si riduce il pericolo al minimo per gli sport di squadra?

«Testando gli atleti e facendo sì che durante lo sforzo siano distanti: un discorso molto più semplice per discipline come nuoto o tennis. Test sierologici e tamponi vanno effettuati secondo le procedure corrette, ben sapendo che uno sportivo appena infettato può essere negativo sia agli anticorpi sia al tampone. Ed è un fattore da considerare, anche se il virus adesso circola meno che in passato».

Ripresa degli allenamenti, favorevole o contrario?

«Non è un giudizio politico o sportivo, ma da medico guardo con timore alla ripresa di attività sportive di contatto quando non abbiamo certezze sul fatto che gli atleti siano al sicuro».

Tre settimane al 18 maggio. Basteranno per ripartire?

«In questa fase non darei date. Se l'evoluzione dell'epidemia porterà a contagi minimali e se verrà messo in piedi un buon sistema di controllo degli sportivi, la data può essere ragionevole. Altrimenti sarà troppo presto».

Dal punto di vista etico è davvero il calcio ad avere più bisogno dei tamponi?

«Non c'è più la carenza delle settimane passate, ma siamo ancora al limite e sussiste un problema di selezione. Non sta a me decidere, di certo non c'è ancora abbondanza per il calcio e gli sport di squadra».

C'è chi parla di conseguenze legali e responsabilità penali per i medici sociali. È un rischio che lei si assumerebbe?

«La questione è spinosa. In medicina non c'è il rischio zero. Il pericolo va ridotto al minimo livello possibile, oltre non si può andare. C'è una pandemia in atto e le precauzioni potrebbero non bastare. Dev'essere chiaro anche per eventuali conseguenze».

In autunno lo sport dovrà ancora fronteggiare il virus?

«Il virus ci conosce molto bene, ma noi non conosciamo lui. È nato per restare tra gli uomini e non per andar via, come la Sars di 17 anni fa.

Dipende da come ci comporteremo, non saremo al sicuro finché non avremo un vaccino efficace».

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