C'è Conte che parla di scienziati e insegue, c'è Garcia che parla di filosofi e fugge. Conte s'arrabbia con i giornalisti, Garcia se la gode con Cartesio e Aristotele. Conte vede un pizzico di vuoto davanti alla sua classifica, Garcia dice che la natura ha orrore del vuoto e lo riempie a colpi di tre punti. Anche il pallone si concede distinguo e preferenze. E tutti sappiamo che il pallone non è scienza, ma si nutre di filosofia. «Noi provochiamo la fortuna» dice Rudi Garcia esattamente come faceva Mourinho che, senza dirlo, ci provava. Provocare la fortuna è molto francesizzato. Noi italiani diremmo: ce la cerchiamo. La Roma cerca e trova, questo è il bello della storia: fa tirar poco gli avversari, si aiuta con i pali (11 colpiti dagli avversari) e con qualche salvataggio sulla linea. Provoca e ne vien ripagata. Oggi è un record, prima una serie di vittorie importanti, domani chissà uno scudetto. Non più episodi. Si, la Roma ti fa pensare male (o bene) nel senso del tricolore. Non gioca Totti, manca Gervinho, il destabilizzatore per tutte le difese. Eppur cammina. Anzi corre. Nove partite tutte vinte.
C'è una Roma che vuol fare l'americana e ci riesce benissimo: americani i padroni, americano il gol che l'ha infilata nei ricordi che non si cancellano. Detta con loro: nel guinness. Roma sempre da fuochi d'artificio. E quando è spuntato il testolone a lampadina di Michael Sheehan Bradley, ad inchiodare il portiere dell'Udinese, chi non ha pensato ai segnali del calcio? Da poco entrato al posto di Borriello per gestire una difficoltà e non per tentare il gol, è invece diventato l'uomo della strizzatina d'occhio alla fortuna, al fato, ed anche alla storia. Oggi la Roma è una squadra da record, una squadra in cui credere, si sprecano i paragoni. Nove vittorie come la Juve 2005-2006. In panchina c'era Capello meno filosofo del francese, ma entrambi capaci di badare al sodo. Garcia lo ha ricordato ieri, interpretando la partita con i suoi cambi e venendone a capo in una giornata in cui la Roma si è dimostrata meno brillante ed effervescente di altre volte.
La squadra ha faticato nel gioco di fascia, ha rischiato di subir gol, ha sofferto, ha tenuto botta, si è messa a testuggine finchè non ha trovato l'incrinatura nella difesa dell'Udinese. Le partite si vincono con i gol e prendendone possibilmente pochi. La Roma è perfetta: una sola rete subita, 23 segnate, è capolista in tutti i sensi. Aggiungete che, rispetto alla Juve di Capello, ha vinto una partita in più in trasferta e le avversarie affrontate allora dai bianconeri erano meno in vetrina (leggi classifica) rispetto a quelle di oggi. Che poi questo campionato stia dimostrando una povertà tecnica e una buona serie di difese simil gruviera è altro discorso. Senza dimenticare che Capello era un vecchio navigatore dei nostri mari e Garcia un novello esploratore. Qualcuno penserà anche: la Juve aveva Moggi. Ma, a parte le attività oscure, sapeva scegliere giocatori. Qui c'è Sabatini dal buon occhio.
C'è differenza e differenza anche nelle rose. Date un occhio alla formazioni: Juve con Cannavaro e Thuram, Ibrahimovic e Trezeguet, Del Piero, Viera, Emerson e Camoranesi, Nedved e Mutu, l'immancabile Chellini e Zambrotta. Era un bel vedere. E guarda, guarda, c'era pure un Balzaretti, ancora pieno di promesse, che oggi sta sulla sponda romanista. Questa Roma ha un grande vecchio e una bella compagnia di talenti: un patrimonio per il futuro, una scommessa sul presente.
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