Stefano, malinconico milanista per caso specializzato in panchine complicate

Un signore del calcio indegnamente accolto dagli hater del web

Stefano, malinconico milanista per caso specializzato in panchine complicate

Troppo facile. Troppo comodo. Troppo miserabile, insultare Stefano Pioli. Ha la faccia malinconica, da pellegrino di Padre Pio (li), dunque non si agita, non strilla, non tocca amuleti, non spaccia football. Lo ha giocato, ha pure vinto, titoli in Italia, in Europa. Nel mondo. Lui c'era in quella notte maledetta dell'Heysel, lui c'era in quella Juventus di Boniek e Platini, ai quali, all'inizio, si rivolgeva con il lei riverenziale. A Torino era arrivato cambiando direzione in autostrada. Il direttore sportivo del Parma, Sogliano, aveva chiuso ormai la trattativa con l'Inter ma la Juventus offrì, all'ultimo momento, una cifra superiore. Anche allora, come nel primo giorno di raduno bianconero, il ragazzo di Parma era accompagnato dal padre, Pasquino Pioli, scomparso appena qualche settimana fa.

Folti e gonfi e ricci i capelli neri sul viso di un adolescente che veniva da Parma e stava scoprendo il vero calcio. Nel tempo ha trasformato la sua immagine, Michel Platini che fu suo compagno di squadra, non lo aveva riconosciuto al tempo in cui Pioli era passato ad allenare la Lazio, la barba, forse e, sicuramente non più la chioma ma la pelata che aggiunge anni non sperati. Pioli ha viaggiato parecchio, tra una panchina e l'altra, domicili importanti e stazioni fastidiose, compresa l'esperienza con Zamparini che, a Palermo, lo licenziò, secondo buone abitudini, ancor prima di incominciare.

Milano rossonera non è più una dimora facile, il vile popolo dei social, anonimo e volgare, lo riempie di ingiurie, per il suo passato interista e per quel low profile che, contrariamente all'aggettivo inglese, non è affatto basso ma discreto, educato, rispettoso, come si insegnava una volta, in un football normale e meno tatuato, nel corpo e nel cervello. Milanista per caso, dopo la rinuncia a Spalletti che sta a Pioli come il sale allo zucchero, Pioli parte in salita, per colpe non sue. Ora non si deve credere che il nuovo allenatore sia pacioso e portato a subire le mattane dei suoi.

A Firenze aveva fatto mettere alle pareti dello spogliatoio lavagne e cartelli con gli aforismi illustri di Alì e Borg, Batistuta e Henry, doping psicologico, stimolo naturale per capire che lo sport, il calcio poi, non sta soltanto nelle chiacchiere tattiche. Le pareti di Milanello non hanno bisogno di parole e di filosofia, contano la storia di un grande club ma anche la cronaca di una grande squadra che non c'è più. Il resto sta nel cassonetto dei social.

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