Dal Tour ai Giri al Mondiale Compie 70 anni un mito della bici

Dal Tour ai Giri al Mondiale Compie 70 anni un mito della bici

Dalla mamma Angela, la postina di Sedrina che in gioventù dava scandalo in paese usando la bicicletta, diabolico marchingegno per soli uomini, Gimondi spera di non avere ereditato solo quella passione: spera anche la longevità. Se il ragazzo è tutto sua madre, Felice ha una vita davanti: domani compirà settant'anni, ma la mamma è a centodue, portandoli ancora bene. Cento di questi anni, in casa Gimondi, non è un modo di dire.
Stavolta lo aspetta una di quelle celebrazioni che il suo temperamento ruvido sopporta con un certo sforzo: gran galà questa sera con autorità, compagni e avversari, domattina Giro di Lombardia che parte da Bergamo per rendergli omaggio. Anche se questa grancassa lo imbarazza un po', Felice deve farsene una ragione. Da settimane lo stanno intervistando, ricordando, coccolando. Ci sarà pure un motivo, dico io. Non serve molta fatica per trovarlo: Gimondi non è uno sportivo dal glorioso passato, Gimondi è un'icona generazionale. Come la Vespa, come il mangiadischi, come la minigonna e come Carosello.
Caro Felice, forse non è bello trattarti così, come un caro soprammobile da piazzare sulla mensola della nostra vita. Ma purtroppo o per fortuna così stanno le cose. Ricordi? Ai nostri padri, nel Dopoguerra, hanno insegnato tanto Bartali e Coppi. Poi è toccato a noi, e sei arrivato tu con Merckx. Eddy, come Coppi, ha insegnato quant'è facile la vittoria per un talento naturale, ma anche quanto sia bugiarda e sgualdrina, una dea che non va creduta, che non va considerata a portata di mano come sembra, perchè appena le si crede e ci si adagia c'è sempre un Gimondi a portarsela via. Tu, come Bartali, sei arrivato per chiarirci proprio questo valore fondamentale: i Coppi e i Merckx sono forti, a volte sembrano invincibili, ma per ogni Coppi c'è sempre un Bartali, e per ogni Merckx c'è sempre un Gimondi. Così, per i Merckx e per i Gimondi che albergano dentro di noi, tante volte in coabitazione, la lezione è molto chiara: mai credersi troppo Merckx, meglio essere anche molto Gimondi. Essere Gimondi può rivelarsi molto più difficile che essere Merckx, anzi certamente lo è, ma alla fine può risultare anche immensamente più utile.
Essere Gimondi significa credere nell'impossibile. Crederci sempre. Significa non lasciare niente di intentato, significa stare accorti per cogliere al volo le piccole e impensate occasioni propizie (Mondiale del Montjuic, 1973), ma soprattutto significa fare fino in fondo la propria parte, con piena dignità, accettando il ruolo che ci tocca.
Quante volte ci hanno detto che bisogna saper perdere. Ma è un consiglio sinistro, che mal interpretato può diventare induzione all'accidia e all'ignavia. Come Poulidor, ricordi Felice? Quello perdeva sempre ed era compiaciuto di diventare il più grande secondo della storia. Quasi si offendeva, se gli capitava l'occasione di vincere: gli sembrava di non essere più Poulidor. Poi è arrivato il modo giusto di perdere, al modo di Gimondi: perdere e diventare una belva, perdere e perderci il sonno, perdere e augurare tutte le afflizioni gastrointestinali al nemico, perdere e giurargliela, perdere e pensare già alla prossima volta. Perdere e accettare di perdere, ma perdere senza sorridere. Perdere ed essere Felice solo di nome.
Ancora oggi, quando il tuo amico Eddy ti consola dicendoti Felice, dai, eri fortissimo, quanta fatica mi hai fatto spremere, tu lo mandi amabilmente a quel paese: vai a quel paese Eddy, io perdevo e facevo più fatica di te, mi fossi ritrovato io le tue gambe avrei vinto il doppio di te. Avete sempre vissuto in pace, allora e ancora oggi, da persone che si stimano e che si adorano, ma senza aver mai firmato un armistizio. Senza mai una resa.
Oggi, posso testimoniarlo, Gimondi è un campione generazionale un po' diverso, rispetto al Bartali vecchia gloria. Lui non vaga come una madonna candelora per borghi e contrade, raccontando i tempi andati, rivelando retroscena, aspettando nuovi applausi. Gim ricorda solo su richiesta, con parole scarne, senza l'aria del reduce. Carattere. Il grande Gino era fiorentino, e c'è da scommettere che anche adesso, nei circuiti del Cielo, stia facendo una testa così a Fausto. Felice invece è un bergamasco di valle, ha un timer nel Dna che gli blocca l'eloquio in tempi brevissimi, un contabattute che non gli permette di debordare.
Nell'autunno della vita, ha scelto di insegnare la bicicletta a un circolo di ragazzini del suo paese. Da quattro anni fa pure il nonno, e quando gli chiedono come vuole che il suo nipotino lo pensi, risponde con la saggezza di sempre, già imparata ai vent'anni e squadernata agli Zavoli d'allora: «Spero ricordi il nonno come una persona onesta, il resto conta poco». Già che c'è però, ritrovandosi nonno, si gode l'unica fortuna vera della terza età: dice liberamente ciò che pensa, senza calcolare se convenga, se piaccia, se renda. Anche questo, usato sicuro, è ancora un bel Gimondi.


Per noi che l'abbiamo eletto a idolo negli anni migliori, per noi che ora l'abbiamo messo in un posto bello sulla mensola intima e personale, tra i Beatles e Lucio Battisti, tra Rin Tin Tin e il mottarello, è tenero e struggente accorgerci improvvisamente quanto tempo sia passato, quante corse abbiamo vinto e quante ne abbiamo perse, quanti trofei abbiamo portato a casa e quanti ci sono sfuggiti di mano. Ma è proprio nei momenti come questo, mentre ci si volta un po' indietro, che è dolce cullare un'idea senza tempo e senza età: quanto sia giusto nella vita provare ad essere Merckx, restando sempre un po' Gimondi.

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