La tribù della boxe torna al Palalido, casa affascinante dei nostri Rocky

Qui sarebbe stato bene Stallone, ma per fortuna arrivò Mattioli Donne, artisti, industriali e un pugilato fatto di violenta bellezza

La tribù della boxe torna al Palalido, casa affascinante dei nostri Rocky

Oggi c'è la tv, ma forse non c'è più la boxe: quella boxe. Non più quel gruppo di pugili che agli occhi di un ragazzino, ma pure degli innamorati frequentatori del bordo ring, facevano lo stesso effetto delle figurine Panini. Stasera il nuovo mondo della boxe fa il suo ingresso al Palalido di Milano, ma capirà forse mai cos'era quel mondo: che si trattasse di Palalido ma anche di Palasport, teatro Principe o tutte quelle arene che per decenni hanno tenuto acceso il sacro fuoco. Quel mondo era una tribù, un fantastico contenitore di tante anime e milioni di sogni dove il quadrato rappresentava un altare, non invece un palcoscenico come lo intendiamo oggi. Dire quella boxe non vuol essere un facile snobismo rispetto ai tatuati del pugilato di questi tempi e neppure dimenticare che il pane dei pugni rimane sempre duro. Quella boxe era fascino, tempesta di emozioni e sensazioni, violenza e bellezza, partite a scacchi nascoste tra ko e maestria pugilistica, storie di vita commoventi ed altre disastrose, erano pugili campioni o meno che, nel caso del Palalido, richiamavano la gente al venerdì sera da ogni parte della provincia milanese e lombarda. Tutto era vissuto su una questione di pelle: non bianco o nero, ma amante della boxe oppure orecchiante, suiveur da tribuna o appassionato da sfilata nel ring side. C'erano belle donne e facoltosi industriali, artisti ed ex pugili dove oggi transitano i nuovi depositari del glamour: veline e calciatori, palestrati e aitanti tatuati. Non c'erano, fuori del Palalido, i bisonti delle antenne televisive bensì pullman e macchinate che arrivavano da Bergamo e Brescia, Pavia e Cremona se non dalla Valtellina.

Ecco sarebbe fantastico se stasera il Palalido, che riaprirà alla boxe dopo una decina d'anni di pausa di depressione, e chissà mai di riflessione, riuscisse a regalare le sensazioni che ci portarono Vito Antuofermo e Tony Licata, oriundi americani solo in transito in quella piccola arena, ma che interpretavano le due facce della boxe: Vito combattente indomito, Tony artista del ring. La notte del 1975 in cui Antuofermo esordì al Palalido, contro Ramon Mendez, un tigrotto argentino della colonia di Rocco Agostino, la gente rimase fuori: troppo piena la bombonera da 3000 posti. Oggi la tv appaga gli organizzatori (DAZN trasmetterà in diretta), allora bastava buttare un occhio al botteghino: c'eran code, serata piena, e organizzatori a viso soddisfatto. Si chiamavano Egidio Tana o Tonino Ardito, che arrivava da Taranto per organizzare, Gianni Scuri e Bruno Branchini, ogni tanto provavano l'incursione Sabatini e Spagnoli, i due re (organizzativi) di Roma, nomi familiari come quelli degli uomini d'angolo. Rocco Agostino, il manager con il bastone, portava la sua banda genovese, Aldo Traversaro e Gianfranco Usai, Nino La Rocca e uno dei tanti Duran del ring prima di incontrare Massimiliano l'italiano e Patrizio Oliva. Il cardinal Umberto Branchini, una eccellenza della storia della boxe mondiale, guidava l'ercolino Udella, gli Stecca, il brasiliano Costa Azevedo e Tonino Puddu, teneva botta con la famiglia Cherchi. Da Seregno planava Zanon, da Bergamo Ennio Cometti, Brescia tifava per Natale Vezzoli, Milano stravedeva per il peso medio Germano Valsecchi, i cremonesi accompagnavano Trento Faciocchi.

Il Palalido era la terra dei Rocky, ci sarebbe stato bene anche Rocky Balboa, ma per fortuna arrivò invece Rocky Mattioli. Poi comparvero Sumbu Kalambay e Parisi, Piccirillo e l'intrepido Luigi Minchillo che stasera sarà all'angolo di Capuano, un pugile guascone della serata.

Chi volesse intuire qual tipo di pugili erano quelli di quella boxe dia un'occhiata ai record e capirà. Per non parlare dei tempi di San Siro con Benvenuti e Mazzinghi, del Vigorelli con Loi, di Lopopolo e Bossi. Matchroom, che stasera organizzerà con Opi since 82, vorrebbe riportare un mondiale al Palalido ed uno a San Siro. Fantastico! Ma perché, allora, non metterci di nuovo tutti attorno al quadrato del Vigorelli?

L'impresa di riportare la boxe al centro del ring graverà anche sulle spalle di Daniele Scardina, il supertatuato di Rozzano di stanza a Miami, che oggi terrà il clou contro il sardo Goddi per il titolo internazionale (Ibf) supermedi. E con lui Francesco Patera, l'oriundo proveniente dal Belgio, che difenderà l'europeo leggeri contro l'irlandese Paul Hyland jr. Patera più degli altri, con il suo passato lontano, ci riporta a quella boxe. Nell'origine natia di questi ragazzi c'è qualcosa di antico, la nobiltà e la cultura della boxe sarda per esempio.

Quindi bisogna credere a loro, a quel poco, o quel tanto, che sanno dimostrare con i pugni. Scardina è uno showman con un bel seguito di gente che fa fashion. Ma al Palalido i colpi del ko hanno sempre fatto più fashion. Non sarà facile inseguire il futuro, ancor peggio confrontarsi con il passato.

E se l'ultimo Tyson ci ha raccontato che chiunque tu sia sul ring «alla fine perderai sempre», quelli di quella boxe ci dicono ancora: «Non sapete cosa vi siete persi». Crediamo a loro. E provino a smentire Tyson anche le figurine Panini della boxe di oggi.

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