nostro inviato a Londra
E dire che c'era proprio tutto per esaltare la mascolinità. Tribuna italiana gremita, amici, parenti, tifosi palestrati, vari tipi da spiaggia e da vasche serali per l'apericena con indosso t-shirt celoduriste tipo Baldini e fieri e in mano pinte di birra lager e addosso felicità, grinta, speranza e tutt'attorno urla da stadio, vocioni da profondo curva, tifo vero, tifo sano, mica calcio. Sì, c'era proprio tutto. Ma non c'erano loro. Loro Andrea Cassarà, campione del mondo in carica e numero uno del ranking. Loro Valerio Aspromonte, che dei tre era l'esordiente fra i cinque cerchi e per cui il più scusabile. Loro Andrea Baldini, che contro la sorte e il destino aveva conti immensi da regolare, Giochi di Pechino, il biglietto in tasca, la storia strana e losca del diuretico nelle urine che gli fece saltare le olimpiadi e per cui venne completamente prosciolto otto mesi dopo. Conti enormi che purtroppo non ha regolato fino in fondo. Così è successo che i nostri moschettieri sono sembrati un po' dei topolini smarriti rispetto a quegli uomini veri delle donne del fioretto.
E dire che finisce tutto in un podio virtuale della delusione: primo Cassarà, il più scornato perché non se l'aspettava, perché non pensava di finire infilzato ai quarti da Abouelkassem, un faraone egiziano comunque argento e a podio alla fine, comunque beniamino del pubblico perché la primavera araba è troppo bella quando arriva d'estate e per sport e chissenefrega se a vincere sarà quello spilungone e antipatico cinese di un Lei, nel senso di cognome. Cassarà dirà «Non ho riposato abbastanza dopo il combattimento precedente, ero stanchissimo, sono andato in pedana dieci minuti dopo l'assalto degli ottavi» e saranno parole anche giuste, però quegli uomini delle nostre ragazze del fioretto, loro no, loro non le avrebbero mai dette.
E dire che sul secondo gradino, medaglia d'argento della delusione, ci finisce il più psichedelico di tutti: Aspromonte. Lui che aveva potere e diritto di stupire, si è invece solo stupito e c'è una gran bella differenza. Dirà: «Sull'8 a 4 in mio favore ho avuto trenta secondi di black-out». In pratica e nei fatti, l'altro, cioè la futura medaglia d'oro Lei nel senso sempre di cognome, gli rifilerà undici stoccate di fila fino alla vittoria. Roba stroboscopia. E anche in questo caso, ammettiamolo, quegli uomini delle nostre donne mai si sarebbero perse in realtà parallele sulla pedana.
E dire che medaglia di bronzo delle occasioni mancate non può che essere lui, Andrea Baldini pur sempre medaglia di legno qui a Londra. Lui che suvvia, ammettiamolo, anche meno appuntito, nel senso di aggressivo, che in passato è andato a un soffio dal bronzo grazie a orgogliosa rimonta contro il sudcoreano Choi che non sembrava asiatico, sembrava un furbone toscano, massì, livornese come Baldini, un furbone quel Choi, costretto dalle proteste di Andrea, a spogliarsi in pubblico per ispezionare la elettrocanotta. «Tre stoccate e non scattava mai il punto, ormai siamo abituati a questi effetti dei rilevamenti wireless, però non va bene, magari quei tre punti potevano essermi utili
- dirà l'azzurro - ma comunque avrei potuto tirare molto meglio, la verità è questa. Sì, sono tanto deluso, non cercavo rivincite ma volevo che questa olimpiade fosse mia... Ho cercato di stare calmo ma forse lo sono stato troppo».
Ecco, forse, pur di giustificare una sconfitta, anche quegli uomini delle nostre ragazze del fioretto si sarebbero lamentate dei rivali, però mai e poi mai avrebbero parlato di calma e troppa calma.
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