La domanda che ci porteremo dietro per tutta la stagione è: alla fine di Zeman si parlerà più per ciò che la sua Roma farà in campo o per le sue dichiarazioni velenose e ad effetto? Se lo chiedono in tanti, se lo chiede la stessa società giallorossa, seccata o quantomeno infastidita dall'ennesima «picconata» del boemo. Anche se quando l'hanno preso a furor di popolo, conoscevano il rischio di trovarsi di fronte a queste situazioni.
Alcuni all'interno della Roma credevano di poter gestire la forza mediatica di Zeman, ora sono preoccupati specie in un momento in cui la società sta stabilendo rapporti sempre più solidi col mondo politico-finanziario e sta cercando anche di disinnescare possibili focolai di violenza. «Per il bene del club e della squadra, sarebbe meglio che usasse il basso profilo», i sussurri da Trigoria. Ma Zeman sa che questi argomenti hanno una cassa di risonanza addirittura enorme rispetto a uno schema di gioco. È il suo stile e alla gente di fede giallorossa piace anche per questo. Tanto che le sue frasi al vetriolo e il suo atteggiamento da «predicatore» hanno trovato e continueranno a trovare solo elogi sul web o nell'etere romano.
L'attacco al presidente Abete (o al sistema calcio in generale se prendiamo per buono il chiarimento di Zeman sulla frase incriminata, che ha più il sapore di toppa messa dal club) è l'ultima di una serie di uscite dell'allenatore negli ultimi 14 anni, in cui ci ha rimesso soldi e carriera: dalla celebre frase sul doping («il calcio deve uscire dalle farmacie») alla stoccata a Vialli e Del Piero («mi sorprendono i loro muscoli, credevo venissero solo ai culturisti») fino alle recenti frecciate alla Juve («la terza stella? Per me gli scudetti sono al massimo 22 o 23») e al collega Conte («i tecnici sospesi per più di tre mesi non dovrebbero allenare, io al loro posto mollerei»).
Per la verità, nell'intervista Zeman ha anche ribadito la sua contrarietà alla commistione finanza-calcio (si era opposto fieramente già nel 1998), trovando la sponda del vicedirettore generale di Unicredit Paolo Fiorentino («con la situazione di oggi non ha un particolare senso avere una società di calcio quotata») che pure ha escluso per ora l'uscita dalla Borsa del club di Trigoria.
Cosa accadrà adesso? Un deferimento per la frase su Abete è possibile ma non certo. La convinzione di molti è che però, attraverso le tante chiacchiere, un condizionamento inconscio arbitrale sia inevitabile. Appena un anno fa la dirigenza giallorossa aveva promesso di non parlare più dei direttori di gara, Zeman ha pensato bene - seppur velatamente - di sottolineare i due gol in fuorigioco del Catania nella prima partita del campionato pur non negando i demeriti della sua squadra. Che ha comunque la forza di far bene sul campo proprio perché Zeman, oltre che «picconatore», è anche un allenatore che sa conquistare il gruppo.
E così torniamo al dilemma iniziale, al quale si può aggiungere una considerazione che fanno in molti nell'ambiente: c'è bisogno dello Zeman battagliero, ma esiste una componente del calcio che non vede l'ora di sparare sul boemo. Alla sua prima sconfitta, in tanti lo aspetteranno al varco per criticarlo. Anche se lui continuerà imperterrito sulla sua strada. E con il favore della gente di fede romanista.
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